Ieri Prodi ha perso una splendida occasione per stare zitto. Ha proposto una nuova verità, con il risultato di rendere più profonda la pozza nella quale il governo si trova. Vediamo di capire quel che succede e valutare la durezza dello scontro interno al governo.
Sul documento inviato da Rovati a Tronchetti Provera ha sorvolato, prendendosela con le “invenzioni” e dicendo che “abbiamo già dato tutti i chiarimenti possibili”. Forse quelli possibili, ma non quelli necessari. Con quel documento è stato proposto a Telecom Italia un piano, preciso e circostanziato, per far fronte ai debiti ed alle imminenti scadenze finanziarie. Non è affatto “inventato” ed è stato redatto a seguito dell’incontro fra Prodi e Tronchetti Provera. Ha una caratteristica: serviva a fare della proprietà Telecom un ostaggio nelle mani del governo, dato che dalle casse pubbliche sarebbero arrivati i soldi necessari. In quel modo non solo sarebbe stato Prodi a fare il mestiere e ad esercitare i poteri che competevano a Tronchetti Provera, ma si toglieva a tutti gli altri la benché minima rilevanza in questa faccenda, cosa che a D’Alema ed i ds non è piaciuta proprio per niente. Sospendiamo il giudizio (era un obbrobrio), e andiamo avanti.
Tronchetti Provera, letto il piano che conosceva già, così come lo conoscevano i consulenti di Murdoch, decide di aderire, ma con una velenosa aggiunta: scorporo, come mi chiedete, la rete fissa, mi preparo ad essere salvato da voi, ma scorporo anche quella mobile, che se per caso vi gira di mollarmi a mezza strada ho un salvagente cui aggrapparmi. Ora, se questa succosa postilla sia stata o meno oggetto di comunicazione a Prodi, non lo so, ma è arcisicuro che nel corso dell’incontro si parlò, eccome, del resto. Quindi, quando Prodi dice che non gli fu detto niente mente. E dato che si tratta di una bugia piuttosto patetica, significa che gli brucia da morire l’essere stato gabbato da un uomo che lui riteneva di avere in pugno.
Dice Prodi che “quando si parla con il presidente del Consiglio si deve dire tutta la verità”. A forza di vedersi ritratto da parroco deve essere entrato nella parte, ma dovrebbe indicare in quale fonte di diritto ha letto una simile scempiaggine. Anzi, dato che è stato lui a far divulgare un verbale di parte di quel colloquio, credo che nessuno, mai più, vorrà dirgli nulla che ritenga non debba divenire pubblico. Dice Rovati che il suo errore è stato quello di fidarsi di Tronchetti Provera, e questa volta sento la sincerità nata dal dolore: ma come, eravamo d’accordo su tutto, ne avevamo parlato, altri lo mettono per iscritto, io te lo passo e tu lo fai pubblicare?! E’ vero, non doveva fidarsi. Ma lo spilungone sincero, quello che secondo Prodi non doveva dimettersi e secondo i ds doveva sparire dalla circolazione, forse non si rende conto che il suo fidarsi è l’esatto contrario di quel che sostiene il di lui principale.
Auspica Prodi che si deve “ragionare seriamente sul futuro delle telecomunicazioni”. Bravo, ben detto. Ed a quale futuro immaginabile risponde l’idea di ristatalizzare la rete fissa, con i soldi della Cassa Depositi e Prestiti? Oltre ad essere un errore è anche scandaloso il modo in cui si è provato a farlo, ma prima di tutto è un errore. La rete fissa è, in prospettiva, un affare più interessante di quella mobile, ed è dal tipo di investimenti che qui si faranno che dipende l’evoluzione del mercato delle comunicazioni. Se la rete fosse solo un costo, il compito del regolatore sarebbe quello di costringere chi fa altri profitti a mantenerla in vita. Siccome, invece, quella rete sarà determinante ne deriva che nessuno potrà farla crescere meglio di chi ci metterà i quattrini. Statalizzandola si ottiene un duplice disastro: a. un’opportunità si trasforma in onere, a spese dei cittadini; b. l’evoluzione ce la scordiamo e congeliamo tutto, restando senza altra banda che quella operante in politica. I capitali pubblici possono entrare nel mercato, ma per innovare e sviluppare, non conservare e proteggere. Comunque, di questo, Prodi, con chi ne ha parlato? La cosa paradossale è che ne ha parlato solo ad una persona: Tronchetti Provera.
Adesso siamo ad un passo dalla fine dei giochi. La credibilità del governo ne esce massacrata, il regolamento dei conti politici deve ancora avvenire, D’Alema, per ora, osserva l’annaspare. Nel frattempo la procura di Milano ha cominciato ad arrestare, muovendosi sul filone spionaggio. Nelle faccende penali vale la presunzione d’innocenza, sempre, ma una cosa deve essere chiara: Giuliano Tavaroli è un uomo di fiducia di Tronchetti Provera. Un occhio, per giunta, lo stanno dando anche ai bilanci, e magari torneranno a galla le storie che noi abbiamo raccontato ne Il Grande Intrigo, e che nessuno ha mai smentito. Riecco, dunque, il tavolo autoptico della giustizia penale. Ancora una volta, i controlli non hanno funzionato, la trasparenza del mercato è rimasta una battuta, e le inchieste diventano parte di uno scontro politico ed economico, non riuscendo ad essere l’anticamera della giustizia.