Politica

Protezionismo cinematografico

Nelle sale cinematografiche solo un terzo dei film potrà essere extracomunitario (quindi anche americano), e dei rimanenti due terzi la metà dovrà essere italiana. Questo il cinema secondo Rifondazione Comunista, il che ha fatto sorridere molti. Ed in effetti è piuttosto ridicolo.

Ma lo è tanto quanto le quote riservate ai film europei nelle trasmissioni televisive, così come previsto e voluto dalle direttive europee e dalla stessa legge italiana. Leggo con conforto le reazioni incredule alla proposta di legge, anche perché ricordo che quando scrivevo contro le quote comunitarie ero praticamente da solo. Sono grato, pertanto, a Rifondazione.

L’errore commesso da Rifondazione ha la stessa radice dell’errore comunitario, ovvero credere che la riserva di quote di trasmissione, ed ora anche di sale cinematografiche, possa favorire la cultura europea, supponendola in concorrenza con quella statunitense (la misura non è certo destinata a limitare l’invasione di film cinesi, perché, e su questo qualcuno dovrebbe riflettere, l’industria culturale funziona solo nei Paesi liberi e democratici). E’ un errore perché a scegliere cosa vedere non è il governo o la commissione europea, bensì i cittadini che vanno al cinema e quelli che hanno in mano il telecomando. Se a questi cittadini si tolgono i prodotti che piacciono di più non è che rinunceranno a vedere una commedia divertente per immergersi in un bel polpettone introspettivo ed a telecamera fissa, piuttosto non andranno al cinema. Sento già l’obiezione: e dove sta scritto che i film europei sono più noiosi? Da nessuna parte, infatti quelli italiani più visti sono divertenti, spregiativamente (da noi stessi) denominati “cinepanettoni”. Ma ha senso fare una legge per favorire la cultura europea esercitata da Boldi, De Sica o Ghini? Credo che i compagni di Rifondazione non è questo quel che vogliono.

C’è, invece, una buona strada per dare una mano al cinema nostrano e consiste nella cancellazione dei contributi statali, distorsivamente indirizzati a favorire la produzione di film che il pubblico non vuole vedere. Personalmente ammiro i cinepanettoni, e non ho alcuna obiezione da muovere al loro meritato successo. Osservo, però, che se il resto della produzione impatta nell’indifferenza del pubblico è anche perché si mettono in giro delle autentiche porcherie, che senza aiuti statali nessuno si sognerebbe di finanziare.

Se vogliamo avere (e lo vogliamo) un cinema di qualità, che significa anche un cinema capace di guadagnare, dobbiamo spingerlo non a fuggire, ma ad affrontare la concorrenza internazionale, e statunitense prima di tutto. Non c’è ragione per cui non si possa vincere, ed il successo di talune pellicole lo dimostra. Dobbiamo smetterla di credere che sia cultura il sentimentalismo vernacolare e ricordare che il linguaggio della cultura è per sua natura universale. Si cominci a praticarlo, anziché umiliarlo con elemosine e protezionismi autarchici.

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