Politica

Punto di caduta

Tira una brutta aria. Il Paese si degrada, anche nella guerra per bande. In tanti utilizzano massaggi e telefonate notturne per indebolire l’avversario, ma la furia con cui cercano di regolare i conti li distrae dallo scenario complessivo. Provino a domandarsi: dove portano, le inchieste di cui tutti leggiamo, da giorni, gli atti? Qual è il punto di caduta civile e politico? perché quello penale, con la procedura stracciona che trasforma ogni bar in tribunale, porta inesorabilmente nelle sabbie mobili della malagiustizia. Ne riparliamo fra anni. Ma cosa sarà successo, nel frattempo?

Agli italiani che vedevano i risultati, e avevano voglia di credere ai loro occhi, avremo chiarito che ai terremoti scandalosi per mancate ricostruzioni (il Belice, o l’Irpinia che mosse le ire di Sandro Pertini), seguono gli scandali per le ricostruzioni dopo i terremoti. A ben vedere, è un passo in avanti, ma pare non ci si possa liberare degli scandali. A quelli che credevano possibile l’esistenza di una magistratura in grado di perseguire i malfattori, invece, avremo spiegato che ogni inchiesta porta con sé un drappello di magistrati che s’adoperano per il malaffare. Rilevanti, in tal senso, le dimissioni dalla magistratura di Achille Toro, che non è nuovo né al sospetto di rivelare segreti d’ufficio né al porsi al servizio della politica (è stato capo di gabinetto del ministro Bianchi), ma, soprattutto, era uno dei candidati a capo della procura di Roma. E, infine, avremo disilluso quanti credono che sia decisivo, o almeno influente, un cambio di colore politico del governo e degli uomini incaricati di amministrare la cosa pubblica, perché le inchieste dimostrano quel che tutti sanno: gli affari sono trasversali. Ditte e professionisti, amici degli amici, si alternano e convivono, inzuppando il biscotto nel caldo brodo della spesa pubblica.

Ancora qualche settimana di questo spettacolo, e anche il più ottuso degli spettatori si sarà convinto di vivere nel più immondo dei sistemi. Non basta, però, osservare la scena con il solito cinismo inconcludente, di cui molti si vantano, perché si devono tenere nel conto altri due elementi. Primo: per una serie di ragioni, sulle quali ci siamo intrattenuti altre volte, la crisi economica è stata ben attutita dai nostri ammortizzatori sociali, ma i prossimi mesi saranno quelli in cui le difficoltà si tradurranno in maggiore disagio sociale. Secondo: non c’è un’opposizione in grado di sfruttare le difficoltà del governo, perché le ragioni del discredito la riguardano direttamente e i suoi leaders sono coinvolti quanto gli altri, al netto di un più profittevole rapporto con la magistratura inquirente.

Siamo, insomma, su una parabola che piomba nello sfascio. Senza apparenti alternative. E se guardiamo in direzione della Grecia ci è offerto un eloquente spettacolo di cosa succede ai Paesi che si trovano dentro l’area dell’euro, ma non riescono a governarsi: vengono commissariati. L’Italia è più grande e più ricca, più politicamente importante, certo, ma anche più indebitata, se è per questo.

Se la politica esistesse, a questo punto, dovrebbe porsi il problema del proprio ruolo. Della propria sopravvivenza. Un Paese che, ogni venti anni, pialla via un’intera classe dirigente è, più semplicemente, un Paese senza classe dirigente. E se ne trova conferma nell’industria, nella cultura, nelle professioni, nella magistratura, come anche, per quel che conta, nel giornalismo. L’analfabetismo, grammaticale e istituzionale, galoppa indisturbato. E allora? Allora non si tratta di fare il governo di salvezza nazionale, ma di capire che senza riforme profonde non c’è salvezza per nessuno, sebbene ci sia immediato profitto per qualcuno.

Le vicende della protezione civile hanno dimostrato che con le regole attuali non si riesce a fare niente, che forzando quelle stesse regole si ottengono risultati, ma creando grossi problemi, e che i governi agiscono nello stesso modo, senza distinzione di colore politico. Impariamo la lezione e cambiamo le regole. Facciamolo assieme. Già, ma assieme chi? Le persone ragionevoli, le forze politiche non estremiste, quelle che raccolgono la grande maggioranza dei voti. Se non ne saranno capaci, ora, subito, se sarà infruttuoso il periodo immediatamente successivo alle elezioni regionali, se ciascuno resterà ostaggio delle proprie minoranze e dei propri isterismi interni, allora viaggeremo veloci verso il crollo, mescolando la rabbia della borghesia declassata con la bramosia cieca e fettolosa dei ladroni e con la furia immorale dei moralisti profittatori.

Dal male che stiamo vivendo può venire del bene, se alla concorrenza nel conservare si sostituisce la convergenza nel cambiare. Può venire anche il peggio, però, perché molti protagonisti sembrano ciechi, oramai abitanti un mondo che non solo non è quello dell’Italia che i soldi li guadagna, ma è anche incapace di coglierne gli uomini profondi. Ci si ricordi che nella vita politica, come in quella di ciascuno di noi, la distanza fra il far bene e il far male non è abissale, e spesso la chiave sta nei dettagli. Si è fatto e si sta facendo di tutto per umiliare le persone per bene e che sanno fare, magari dipingendoli come delinquenti. E questo è il crimine che avvelena e impoverisce l’Italia, che sulla scena politica trova la sua più grandiosa, e al tempo stesso miserabile rappresentazione.

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