Politica

Pupi cangianti

A un certo punto si dovranno aprire gli occhi, cominciando a fare conti che non tornano e affrontando problemi che non si fanno rinviare. Ma teneteli ancora chiusi per qualche momento e ascoltate il discorso di un presidente del Consiglio. Sentite quel che dice: vogliamo gli sgravi fiscale; libereremo l’impresa e il lavoro da vincoli indebiti; la sussidiarietà è il principio cardine attorno al quale vogliamo costruire nuove istituzioni; si deve riformare la Costituzione; la stabilità è un bene in sé. E sentite come lo dice: certo del fatto che la parola possa cambiare la realtà; annunciando per fatto quel che agli altri era sfuggito; praticando un’assertività che vaporizza i dubbi senza sfiorarli. Sentitelo dire che l’Italia migliore, la più stabile e fruttuosa, era quella del centrismo anni 50 e del centro sinistra anni 60, cosa che fa imbufalire i militi della sinistra comunista non ancora affetti da amnesia. E’ lui, è Berlusconi. No, è Enrico Letta. Il successore.

Sandro Bondi, con toccante sincerità, sbalordito, gli domanda: presidente, ma in che mondo vive? Vive in quello stesso mondo in cui abitavano quelli che dicevano: la disoccupazione italiana è al di sotto della media europea. E noi chiedevamo come diavolo facessero i conti, visto che ai disoccupati si dovevano sommare i cassintegrati a zero ore, superando così la citata media. E mica rispondevano, gli allora ministri del centro destra. Quel mondo ha un nuovo capo: Letta.

Ciò ha una curiosa conseguenza: tutti i giornali parlano della fine di Berlusconi, dimostrando il proprio sagace acume. Rammento a tutti che fra due settimane sarà non solo decaduto (spero dimesso), ma anche detenuto. Il Pdl ottiene due sacramenti in contemporanea: ribattesimo ed estrema unzione. I giornaloni, però, tacciono la scomparsa del gruppo dirigente che fu comunista. Nel mondo di Letta non c’è posto, per loro. Il fatto che lo ospitarono e promossero non rileva, giacché anche i miracolati dell’altra parte ora credono d’essere loro medesimi gli autori del prodigio. Qualche sinistro ancora schiuma rabbia, affermando che nel governo non vogliono i voti del Caimano. Ma ne sono usciti assieme a lui. Tocca loro anche il destino di chiamare gli applausi nominando il presidente della Repubblica, in un ossequio e in una sudditanza politica che irrisero nella versione democristiana, ma anche in quella socialdemocratica. Sono divenuti portatori d’acqua. Silenti. Forse avvertono l’inquietante somiglianza con le mogli indiane, cremate assieme al cadavere del marito.

Intanto Letta, cui la scuola non difetta, mostra di volere il tandem con Matteo Renzi. Non perdetevela: un uomo della sinistra democristiana a capo di un governo cui toccherà fare politiche di destra, e un uomo della destra democristiana a capo del partito della sinistra. E per arrivarci dovrà prima di tutto distruggere il suo principale avversario, vale a dire il Renzi della Leopolda. Già alla sola candidatura alla segreteria le sue ricette mostrarono un cambio di cucina. Con Letta al governo vedremo anche un Renzi che alza il pugno. Per darselo il testa. Avrebbe dovuto rompere prima.

Sicché la vedo così: a destra parleranno per mentire a sé stessi, riaffermando la difesa di Berlusconi (del tutto inutile) e la vocazione bipolare (del tutto priva di sostanza); a sinistra o si sbrigano a fare cadere loro il governo, oppure sbarcheranno nel 2015 dopo avere reso ancor più opprimente il fisco, visto crescere disoccupazione e fallimenti, dovuto fare dei tagli alla spesa pubblica e soffiato sul fuoco della rabbia sociale (che esiste, purtroppo, a prescindere da loro) continuando a ripetere che si avvicina la luce in fondo al tunnel. Nel frattempo trionferà il berlusconismo sostanziale, fatto di gente che si candida a posti che non esistono e che legge la propria legittimazione nei sondaggi. Vorrei vedere, invece, un governo che affronta con temeraria determinazione i problemi, vendendo e tagliando, riducendo lo Stato e facendo tacere chi non sa quel che dice. Un governo che ammetta: siamo qui per sbaglio, ma ora che ci siamo, non essendo stati eletti, intendiamo fare il lavoro che gli eletti non hanno saputo fare. Sappiamo di essere un prodotto necessitato ed emergenziale, ma ne approfittiamo per tirare fuori l’Italia dal pantano. Poi, con in mano quei risultati, daremo appuntamento agli elettori, dato che non possiamo campare con consensi dati a quei due mondi, opposti e conversi, che con la nostra nascita morirono.

Ove tale speranza vada delusa (cosa piuttosto probabile), i pupi si ritroveranno senza pupari: accasciati e con il sorriso rivolto alle parti basse, dato che la testa penzola fra le ginocchia.

Pubblicato da Libero

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