Devono essere occulti, gli affari berlusconiani favoriti dal governo renziano, perché fra le terre emerse non se ne vedono di significativi. Ciò non toglie due cose: che l’accusa di privilegiare i fatti propri su quelli altrui è un sempre verde degli antiberlusconiani, notoriamente tutti proiettati a difendere gli interessi altrui, anche a discapito dei propri; e che una convergenza d’interessi c’è, fra Silvio Berlusconi e Matteo Renzi, ma per capirla occorre ragionare di politica. Possibilmente senza credere ai propri slogan, in una sorta di autoipnosi.
Il gruppo che fa capo a Berlusconi ha chiuso un’operazione di concentrazione nell’editoria libraria, ma ha subito due immediate amputazioni, ad opera delle autorità di controllo. Contemporaneamente il principale gruppo concorrente, nel settore dell’editoria, annuncia la fusione fra due quotidiani (La Repubblica e La Stampa), superando i limiti esplicitamente previsti dalla legge. Nel secondo caso, al momento, non s’udì un sospiro. Mediaset ha varato un ampliamento e concentrazione nel settore radiofonico, anche in questo caso l’antitrust è intervenuto a impedire la raccolta pubblicitaria per un paio di reti importanti (avverto, per trasparenza, che in nessun caso presto opera professionale al gruppo Mediaset, mentre in questo l’ho fatto per suoi concorrenti). Resta l’interesse a mantenere in vita il mitico “duopolio televisivo”, ma oramai zoppica anche nel maturo e poco innovativo settore della televisione commerciale gratis (per gli ascoltatori). Trovo interessante e utile l’opera svolta dall’editore di La7, Urbano Cairo, così come il suo interesse per la Rizzoli. Non un segnale confortante per i duopolisti, però. Su quel fronte, del resto, è la Rai a far segnare i migliori successi. Non di programmi, ascolti o bilanci, ma di protezione governativa: l’oscenità del canone nella bolletta elettrica ne è una incarnazione. Ma non la sola.
Nella televisione a pagamento il dominio di Sky è piuttosto solido. Matteo Salvini s’allarma per le possibili novità relative ai diritti per le trasmissioni calcistiche o sportive, ma quelli si trovavano in Mediaset Premium, ceduta a Vivendi. Si crede che sia un favore? Avrei qualche dubbio sulla generosità disinteressata di Vincent Bolloré (che non è tenuto ad atti di liberalità, ma a far profitti), ricordo, però, che Mediaset comprò i diritti calcio pagandoli molto, 717 milioni, senza riuscire a farli fruttare lo sperato. Ora ha venduto. In che potrebbe consistere il favore governativo? Mediaset, infine, ha mantenuto con le unghie e i denti la sua partecipazione in Mediolanum, posseduta e gestita dalla famiglia Doris. Il governo ha alzato la tassazione del risparmio. Se questi sono gli amici, invito a cena solo i nemici. Tante cose si sarebbero potute fare, per il bene italiano, per costruire gruppi all’altezza di sfide che sono (quanto meno) continentali: dalla società degli impianti all’integrazione con le telecomunicazioni. Non si fece mai nulla, mentre il patrimonio collettivo (pubblico e privato) deperisce.
E allora? Perché Berlusconi s’incaponisce a perdere, in quel di Roma? Chi sta favorendo? Sé stesso. All’epoca del primo Nazareno egli era uno sconfitto condannato (per un pugno di voti e con una sentenza che la Cassazione si rimangiò). Renzi offrì una sponda, subito colta. Peccato poi il frutto sia stata una riforma costituzionale scombiccherata e parolaia. E questa è anche una colpa di Berlusconi, cui si aggiunge la pessima legge elettorale. Inoltre è sciocco dimenticare che la narrazione positiva e volontaristica, supponendo sia bastevole a rimediare i nostri guasti, è berlusconiana per eccellenza. Oggi renziana. La chiave di lettura politica si trova nelle parole di Fedele Confalonieri, impareggiabile in ragionevolezza: non può esistere una forza moderata e di governo che non sia anche europeista. Vincere dimenticandolo (ammesso sia possibile) significa perdersi. Per sempre. Berlusconi ha impiegato molto del suo ultimo tempo a occuparsi degli affari propri. Il guaio è che in politica ha costruito un vuoto capace di esporsi in tutta la sua potente inconcludenza.
Pubblicato da Libero