Politica

Quei fantasmi

Siamo giunti al punto che si considera pressoché eversiva l’ipotesi che un parlamentare si alzi e pronunci un discorso, in Parlamento. Si finge d’invitarlo alla scaramanzia, suggerendogli che facendo come Bettino Craxi si assicurerà la sua stessa fine. Ma, a parte il fatto che quei due discorsi di Craxi (3 luglio 1992 e 29 aprile 1993) restano fra le sue cose migliori, ancora oggi non smentibili, anzi suffragati da conferme storiche, sarà il caso di fermarsi a riflettere sulla malasorte di una democrazia in cui si pretende che taluno autolimiti il proprio diritto alla parola. E, ancora una volta, è vero che la destra ha commesso molti errori, alcuni dei quali imperdonabili proprio sul terreno della giustizia e con la zappa del giustizialismo, ma la questione è oggi dirimente per la sinistra. Dovrebbero guardare con orrore anche alla sola possibilità di ripetere l’errore di venti anni fa: supporre di vincere perché l’avversario è stato messo fuori legge.

I discorsi di Craxi e quello di Berlusconi, se lo farà, nel qual caso sarà saggio ascoltarlo, prima di giudicarlo, in ogni caso la loro ribellione alla sorte giudiziaria che attendeva il primo e ha già colto il secondo, hanno due cose in comune: a. arrivano troppo tardi; b. restano isolati. Nel caso di Craxi la tempistica fu sbagliata perché i leaders di quella stagione (lui, ma anche Arnaldo Forlani e Giovanni Spadolini, per citare i capi di due partiti e, nel secondo caso, anche un uomo cui mi legano profonde condivisioni) non capirono il significato epocale del 1989, della fine della guerra fredda. Non solo Craxi, ma tutti loro avrebbero dovuto parlare due anni prima. Persero il tempo e finirono sotto scacco. Questa è la loro colpa politica, che non ha nulla a che vedere con le contestazioni criminali. Nel caso di Berlusconi le denunce della malagiustizia non hanno saputo tradursi in politiche di riforma. Perché gli alleati non volevano, si dice. Ma è in questo il colpevole ritardo: il tavolo andava fatto saltare quando, da vincitore si ritrovava impotente. Su un tema come questo avrebbe dovuto far cadere il suo governo, diseredando gli alleati riottosi. Invece pensò d’incarnare a tal punto l’Italia moderata e produttrice da salvarla salvando le proprie carni. Doppio errore: non era così e non le ha salvate. Cose che qui ripetiamo da anni.

In quanto all’isolamento, però, scusate, questa non è una colpa degli oratori alle corde, ma dei taciturni per errata convenienza e autentica viltà. Craxi diceva il vero, talché furono veramente esecrabili i suoi colleghi di allora, che tacquero o agirono nell’unico modo che il loro cuore e il loro coraggio consentiva: nel segreto dell’urna. (Resto convinto, in mesta parentesi, che Craxi sbagliò ad andare via, ma è pensiero politico, che esprimo nel rispetto della sua scelta umana, come di ogni altra umana decisione).

Venti anni dopo siamo a un punto analogo perché la malattia s’è cronicizzata: la giustizia è peggiorata, la politica ha perso idee e poteri, la magistratura esonda alla grande. La destra non ha saputo usare la forza elettorale e la sinistra fugge alla forza ideale e morale. Ove così non fosse il Partito democratico di oggi dovrebbe dire: la condanna di Berlusoni è affar suo, ma la sua decadenza sarebbe una nostra umiliazione, la nostra stessa decapitazione; non condividiamo le sue idee, desideriamo fortemente sconfiggerlo convincendo gli italiani che non solo lui sbaglia, ma di noi si possono fidare, eppure siamo pronti a tutto purché non gli sia negato il diritto alla parola e alla propaganda. Metterebbero la pietra angolare della loro vittoria. Invece si mettono al collo la pietra che li affondò in passato e li affonderà sempre: l’immoralità di credere che ogni mezzo è lecito pur di prevalere. Spezzerebbero la catena che li aggioga al potere togato, invece s’adattano alla bovina sorte di considerare la catena quale garanzia di foraggio.

E non si dicano scemenzuole patetiche, del tipo che la grande preoccupazione consiste nel non subire il danno collaterale della fine del governo Letta. Si sono talmente convertiti al doroteismo che per non morire democristiani sono diventati democristiani da morire. Questo governo non vedono l’ora di deglutirlo e digerirlo dopo che sarà servito ad assecondare la tumulazione dell’avversario, senza per questo andare a prendersi quattro schiaffi nelle urne o doversi consegnare a colui che detestano solo un pelo più di Berlusconi: Matteo Renzi. Per forza che la sinistra vive e vivrà assediata ed espugnata dai propri fantasmi.

Pubblicato da Libero

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