Politica

Quirinale monarchico

Non è politicamente corretto, non sta bene e, di certo, gli editorialisti a modino non avranno il coraggio di scrivere quel che borbottano riservatamente. Per non parlare dei gran professori, rimpiattati sotto le cattedre. Ma il Signor Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, sta facendo coriandoli della Costituzione.

Non è la prima volta che, violando l’impianto costituzionale, interviene a piedi uniti nel processo legislativo, ma ora ha preso di mira la legge di stabilità, che un tempo si chiamava “finanziaria”, il cuore stesso del governo. Ipotecando la sovranità parlamentare, svillaneggiando un emendamento e rimproverando all’esecutivo la totale incapacità. Nel merito si può discutere, e, discutendo, mettere in luce gli errori presidenziali, come quelli governativi (sempre, naturalmente, a giudizio di chi scrive). Ma ciò è largamente secondario rispetto al sovvertimento dell’ordine costituzionale, talché alla prossima (in tutti i sensi) crisi di governo Napolitano potrebbe dare l’incarico direttamente a sé stesso, sempre dopo avere ascoltato, come la Costituzione stabilisce, il parere del presidente della Camera, nell’inedito ruolo di colui il quale ha provveduto a far cadere il governo precedente. Quasi in un armonioso gioco di sponda, ove l’uno sostiene l’altro. Napolitano e Gianfranco Fini hanno una cosa in comune: guidarono partiti che erano considerati inaffidabili per il governo. Chi per ragioni storiche, avendo l’Italia maledetto il ventennio fascista, chi per ragioni geopolitiche, non avendo mai gli italiani accettato d’essere governati da chi era dipendente da una potenza nemica, l’Unione Sovietica. Si batterono su sponde opposte, avendo torto entrambe. Si ritrovano nell’opposizione al governo, votato dagli italiani e composto, a detta del Presidente, da incapaci. Che egli stesso ha nominato, del resto. Può darsi che la mia sensibilità sia eccessiva, ma può anche darsi che si sia troppo concesso agli eccessi del deragliamento istituzionale.

Napolitano, oltre tutto, ha usato parole che significano l’inesistenza stessa del governo: “sento la necessità di superare il vuoto su una questione così cruciale”. Che sarebbe quella dei tagli alla spesa pubblica, secondo lui operati senza criterio e senza alcuna capacità politica di compiere delle scelte. Concede che il debito pubblico è elevato, e che si debba provvedere, ma condannando la legge di stabilità egli introduce un nuovo istituto costituzionale: la sfiducia presidenziale. Tipica delle monarchie. Di quelle non costituzionali, bensì assolute. Solo il re, privo di Parlamento, avrebbe potuto rivolgersi all’inclito e al volgo per dire del governante, ridotto ad amministratore dell’assolutismo: “c’è una grande confusione, un grande buio, il vuoto sulle scelte e sulle priorità nella destinazione delle risorse pubbliche”.

Si tratta, non lo si dimentichi, dello stesso Napolitano che ha prima lamentato lo scarso rilievo delle questioni economiche nel calendario dei lavori parlamentari, ed ha poi osservato che sarebbe da incoscienti aprire la crisi senza prima avere approvato … la legge di stabilità. Già, ma quale, a questo punto? Quella presentata dal governo o quella dettata dai consulenti del Quirinale? Nel secondo caso, a parte i coriandoli costituzionali, il governo già esautorato. Senza che, nella Carta, si trovi alcun appiglio per una così drastica condotta.

Ripeto: da queste colonne abbiamo mosso rilievi significativi alla politica economica del governo, ma questa è faccenda minore, e di molto, se messa a fronte delle divelte regole costituzionali. Non occorre essere di destra o di sinistra, di sopra o di sotto, per accorgersi che ci si è avventurati su un terreno pericolosissimo, un territorio nel quale si assiste non solo alla caduta del governo (e passi) ma dell’intero edificio costituzionale. Ma, vedrete: zitti e mosca. Il Quirinale è potente, temibile, per alcuni utile, per l’insieme troppo pesante, rispetto a quel che si può osare.

La seconda Repubblica sta vivendo i suoi sussulti finali in un susseguirsi di scandali e scandalismi, molti dei quali sullo sfondo di deprecabili costumi personali. Ne abbiamo scritto, senza alcuna reticenza. Ma strillare sulla dissolutezza privata e tacere di quella istituzionale è da moralisti senza etica. Categoria (diffusa) dalla quale mi tengo lontano, anche perché contribuisce a ritardare e avvelenare la terza Repubblica, che verrà.

Ad aver colpito il Presidente della Repubblica, infine, non sono stati i tagli alla spesa destinata agli italiani bisognosi, ma quelli relativi agli aiuti da destinare agli africani. Ne ha parlato, infatti, all’assemblea del Cuamm, i medici per l’Africa. Ed ha ragione, perché gli aiuti ai paesi bisognosi sono una cosa importante, meglio ancora se coordinati con gli interessi nazionali in quelle zone. Gli é che, però, quando chi fu comunista si dedica a queste manifestazioni d’amore per i popoli farebbe bene a ricordare di avere, per una vita, o, forse, nella vita precedente, appoggiato altre manifestazioni di fratellanza e soccorso, indirizzate ad armare squadroni della morte che hanno macellato intere popolazioni. E se i tagli alla spesa del governo italiano meritano una così vistosa tirata d’orecchi, in quella vita evitò di manifestare una efficace critica all’internazionalismo assassino dei sovietici e dei cubani. Che, per carità, qualche volta s’indirizzava verso dittatori non meno sanguinari, senza che, però, questa sembri accettabile scusante per chi fa sfoggio della propria preoccupata e commossa umanità.

So bene che queste cose non si scrivono, semmai si mormorano e alludono. So che l’istituzione quirinalizia gode di un consenso composto da amnesia pilotata e ipocrisia elevanta a potenza, frammiste a reverenza da sudditi. Ad un vecchio repubblicano sia concessa l’incoscienza infantile di dire quel che vede.

Condividi questo articolo