Politica

Quote folli

C’è una sola cosa che consola, dopo avere appreso la notizia che una giunta comunale può essere azzerata dal tribunale amministrativo, per mancanza di donne, ed è che certa politica se lo merita. Nei sistemi razionali va avanti chi merita e si seleziona per capacità, senza badare al sesso o al colore. Da noi no, noi siamo il regno della demagogia un tanto al chilo, per cui solo pochi matti, come chi scrive, irrisero le famigerate “quote rosa”. Quando si volle prevedere che in certi consigli d’amministrazione devono obbligatoriamente sedere delle donne a me parve che la norma fosse diretta a coartare la volontà dei proprietari o azionisti, che non avrebbero più potuto dire di no alle mogli e alle figlie. Che servisse a far largo alle signore di valore è una bubbola.

Ora è il turno delle giunte, con il Tar che ha sciolto quella di Roma, appena rimpastata dal sindaco, Gianni Alemanno. Che merita la sberla. Perché tenersi uno statuto comunale nel quale si dice che per le nomine, dalla giunta alla burocrazia, passando per le municipalizzate, si deve rispettare la “presenza equilibrata” di maschietti e femminucce (articolo 5) equivale ad essere consumatori compulsivi di fumosità politica, altamente intossicante per la mente. Chi non se lo merita, invece, siamo noi cittadini romani, e italiani in generale, che ci ritroviamo un nuovo assessore femmina in Campidoglio, che guarda un po’ i casi della vita non fa la fruttarola al mercato e non s’è distinta per passione politica, ma è la figlia di Sensi, per ciò stesso a capo della Roma, intesa come squadra di calcio. E ce la ritroviamo assessore alla “promozione della città e dello sport”, che se sarà capace di capire cosa significa già meriterà un premio. Le diamo una mano: significa che il vero assessore allo sport è un altro, cui l’improvvida natura fornì troppo testosterone, talché non resistette in un ecoambiente politico intossicato dal propagandismo senza idee e fu silurato dal signor giudice.

Alemanno ha poi detto che Roma è una città favorevole alle quote rosa. No, è solo popolata da politici confusi, che pretendono di far dichiarazioni critiche anche sulle bischerate che combinano. Intanto, però, segnalo il preoccupante precedente: un tribunale può sciogliere un governo locale, che gode la fiducia degli eletti dal popolo, perché la presenza femminile non è equilibrata. Già è grave. Poi si pone un problema: e quando lo è? Più della metà della popolazione italiana è femmina. Vale questa proporzione? In tal caso è aperta la caccia ai nomi femminili da ficcare ovunque. E non vale mettere i tacchi a spillo, perché conta il certificato di nascita.

Mi sono sempre sentito rispondere: le quote non sono un bel vedere, ma sono l’unico mezzo per far andare avanti le donne in una società maschilista. Dubito che l’Italia sia maschilista, anche perché vedo molti maschi ridotti a essere la parodia del maschio, ma sono sicuro che quell’argomento è sbagliato. Ci sono intere aree nelle quali la femminilizzazione galoppa veloce. Nelle scuole i docenti maschi saranno presto conservati come panda. Nella giustizia e nella medicina la valanga rosa sommergerà tutto. E’ un bene o un male? Si deve distinguere: nei settori estranei alla concorrenza e colmi di protezioni burocratiche e corporative la femminilizzazione equivale alla definitiva condanna, nei settori ove prevale la capacità professionale è il bel segno che il merito conta.

E per la politica? Qual è il vantaggio collettivo della promozione di ancelle e badanti a parlamentari e ministri, o assessori? Risposta: perché, i maschi sono migliori? No, obiezione accolta. Non c’è vantaggio collettivo neanche nel vedere prevalere camerieri e striscianti. Il che, forse, dovrebbe indurci a volere la selezione meritocratica, guardando nella testa delle persone, non nelle loro mutande. Un tempo si diceva: per fare una buona giunta ci vuole un democristiano, un socialista, uno della società civile e uno bravo. Mi sa che hanno fregato il posto all’ultimo.

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