I radicali Italiani aprono oggi il loro congresso, ne attenderemo la chiusura per ragionare sulle scelte che avranno fatto.
In questi mesi, in diversi, ed io fra questi, anche con le iniziative de L’Opinione, ci siamo comportati da rei di “associazione esterna di stampo radicale”, vale adire che abbiamo interagito ed agito con quel mondo, di cui pure non facciamo parte. Ci sono delle scadenze, come quella delle elezioni europee, che richiedono un qualche indirizzo, ma la faccenda è assai più seria e complessa.
Ci sono cose che mi dividono in modo netto, dai radicali. Prima fra tutte un’opposta opinione circa le modalità per combattere il diffondersi della droga. Ci sono cose che uniscono. Primo fra tutti un comune giudizio circa l’illegittimità formale e sostanziale del mondo politico che abbiamo di fronte. Ma le sfide che dobbiamo affrontare non ci consentono di cincischiare, in un politichese che rischia d’essere la lingua dei defunti.
L’area delle forze di democrazia laica e socialista non è mai stata forte dei successi elettorali, ma, semmai, di iniziative politiche e culturali. Ciò non di meno, quell’area raccoglieva il consenso di un elettore su quattro. Quello spazio, quelle opinioni, quelle convinzioni, quei sentimenti sono rimasti privi di rappresentanza. Dalle macerie fumanti di un mondo politico raso illegittimamente al suolo si alzano, solo, alcuni campanili che hanno retto a dispetto, ma le cui campane non funzionano più. Vale per i socialisti, vale per i liberali, vale per i repubblicani (fra i quali mi trovavo e mi trovo): il passato non torna, e trasformarsi in tabernacolo è deprimente. Ma vale anche per i radicali.
Fra queste famiglie ve ne sono alcune che sperano nel ritorno del sistema proporzionale, in modo da riconquistare una rappresentanza, un diritto di tribuna che non abbia come condizione preliminare l’abdicare alla propria identità. I radicali la pensano diversamente, e fanno bene. Fanno bene perché il sistema proporzionale, connaturato alla nostra Costituzione, darebbe, oggi, frutti imparagonabili con quelli del passato, giacché è oramai lacerato il tessuto politico che ha accompagnato la crescita, economica e civile, dell’Italia. Le stesse battaglie radicali, condivisibili e non, condotte con sistemi efficaci ed irrituali, s’inscrivevano in quel tessuto. Oggi la situazione è diversa.
Il governo è presidiato da forze elettorali che attingono riflessione politica dalla solida e mai sufficientemente detestata scuola comunista; l’attesa di un diverso equilibrio è l’attesa di un ritorno alla scuola democristiana. La quale scuola esercita già un’influenza dominante nella sinistra all’opposizione, il che è un bene, visto che le vecchie componenti comuniste si ritrovano su posizioni pacifiste, neutraliste e buoniste, che se fossero bene espresse si potrebbero dire d’ispirazione vaticana. Quaranta anni di sistema proporzionale avevano modellato una democrazia cristiana secolarizzata. Dieci anni di antipolitica, falsamente maggioritaria, ci consegnano un baciapilismo inerte e vuoto.
Indietro non si torna, ma per guardare avanti senza rassegnazione occorre che, noi tutti, ci si ponga il problema di essere forza capace di esprimere idee e volontà di governo. Il tabernacolo intristisce, ma anche il battitore libero, corsaro, non ha più le sponde e gli interlocutori con cui costruire il dialogo di un tempo. Esserci significa accettare la mescolanza delle esperienze e delle identità, ridando così spazio e forza alla radice comune di un’Italia altra, che abbia, finalmente, la cultura del diritto e dei diritti.
Fin qui, purtroppo, abbiamo davanti solo interlocutori che sperano di tornare ad essere i se stessi di un tempo. Ma vediamo anche un Paese nel quale esiste spazio e voglia di modernità e di democrazia compiuta. Vediamo anche un assetto politico destinato a mutare profondamente, cedendo al crollo di un collante fatto più di “anti” che di “per”. Assieme possiamo fare molto, non credendo che gli uni debbano cedere agli altri, ma costruendo un programma credibile, un programma di governo, che non copra l’intero scibile, ma affronti i nodi che gli altri evitano. Farcela ce la possiamo fare, non mancandocene la capacità. Cerchiamo di non dare il meglio di noi stessi nel fare il peggio.