Politica

Randolfo Pacciardi

Non sono mai stato, se non altro per motivi d’età, un pacciardiano, ma non sono neanche mai stato un sostenitore della Repubblica Presidenziale.

Può darsi che un sistema istituzionale di quel tipo sia in grado di guarire, o almeno correggere, alcuni vizi nazionali, ma ho sempre temuto che potrebbero essere i vizi nazionali a snaturare il sistema presidenziale, facendoci vivere qualche brutta pagina di storia.

Ho avuto la fortuna di conoscere Randolfo Pacciardi e di riceverne qualche lezione. Se oggi lo ricordo, a cento anni dalla nascita, è per testimoniare che il debito che si ha nei suoi confronti non è ristretto alla pur nobile cerchia dei suoi amici e sostenitori.

Randolfo Pacciardi, per me che giovanissimo militavo nelle fila repubblicane, era il diavolo. O peggio del diavolo. Era un fascista, un golpista, colui il quale, con tutti i mezzi, aveva cercato di sbarrare la strada al nostro mito e maestro: Ugo La Malfa.

Poveri noi giovani di allora, e poveri tutti quei giovani che si vanno ad intruppare in organizzazioni già pronte, ove trovano tante belle idee precotte, tante cose in cui credere rinunciando a sapere. Volevamo manifestare tutto il nostro sprezzante rifiuto per il passato fascista dell’Italia, e ci mancava poco ci mettessimo a credere, obbedire e combattere. Fortunati noi, che per motivi d’opinione politica abbiamo avuto il privilegio di potere dissentire dai nostri stessi maestri, imparando così a crescere, dubitando e studiando.

Pacciardi era uno degli eroi della resistenza al nazifascismo, impegnato nella lotta, a rischio della vita, ovunque il dovere chiamasse. Protagonista di punta della guerra di Spagna, ne subì parte della falsificazione storica. Già, perché subito dopo il 25 aprile il partito comunista s’impegnò in una possente propaganda che voleva solo nei comunisti gli antifascisti, e negli anticomunisti dei fascisti per definizione. In più, durante la guerra contro il franchismo spagnolo, i comunisti erano impegnati a sparare contro i repubblicani, favorendo oggettivamente il fronte fascista, per cui gli eroi di quella guerra divennero presto scomode testimonianze da rimuovere.

Pacciardi, poi, voleva la Repubblica presidenziale, ed era per ciò stesso iscritto d’ufficio alla lista degli autoritari, e gli autoritari erano iscritti d’ufficio alla fogna fascista. Che ridere, oggi, a vedere i comunisti di un tempo che chiedono l’elezione diretta del Presidente della Repubblica. Pacciardi lo faceva con ben diversa coerenza e rigore morale. Lo faceva non per inseguire una moda, o per prendere le distanze dalle corresponsabilità passate, ma per inseguire il sogno di una democrazia solida e compiuta.

Nel partito repubblicano lo scontro si accese per la leadership, che Ugo La Malfa voleva solo per sé. Ma lo scontro fu eminentemente politico, articolato attorno alla nascita del centro sinistra: La Malfa lo voleva, Pacciardi lo avversava. Il resto è leggenda secondaria, figlia di strascichi settari che dimostrano quanto, in politica come nella vita, gli odi fra fratelli raggiungono vette ineguagliabili. Oggi noi non siamo autorizzati ad immaginare cosa sarebbe stata l’Italia senza il centrosinistra, si tratterebbe di un inutile esercizio di fantastoria. Sappiamo, invece, cosa è stata l’Italia del centro sinistra, e sappiamo, quindi, che i dubbi di allora potevano benissimo (e fondatamente) essere figli di onesta ed attenta riflessione.

Conobbi Pacciardi quando rientrò nel partito repubblicano. La cosa avvenne dopo la morte di Ugo La Malfa, giacché i due caratteri forti e puntuti non avrebbero mai e poi mai ammesso errori che, con ogni probabilità, vi furono da entrambe le parti. Benché riammesso Pacciardi rimaneva per noi il diavolo. Semmai divenuto un rudere di diavolo. Lui la cosa la sentiva, e non la buttava giù.

Posso raccontare una cosa, che forse potrà sembrare volgare? (ma solo a chi non frequentava il nostro ambiente, e nulla sapeva e sa dei grandi maremmani). Ebbene, rientrato nel partito Pacciardi tornò a far parte della direzione nazionale, quale ex segretario. Anche io ne facevo parte ed il caso volle che finissimo seduti accanto. Lui mi guardò, poi si chinò verso di me, con un dito fece il giro di tutto il tavolo, già gremito, e mi disse : “vedi, Giacalone, qui dentro, a scopare, siamo rimasti tu ed io”. Fu l’inizio, da allora tornai a trovarlo più volte, varcando il portone di quel palazzo ove già ero stato, per far visita ad Oronzo Reale.

A cento anni dalla nascita possiamo solo dirgli ancora grazie. Grazie per quel che ha fatto per l’Italia, grazie per avere dimostrato, con la vita, che restare fedeli alle proprie idee è l’unico modo, in politica, per tenere alta la bandiera dell’onore. Grazie anche per averci dimostrato quanto miserabile sia il tentativo di liquidare un confronto d’idee demonizzando chi sostiene quelle diverse.

Pacciardi non era il diavolo che a noi era stato raffigurato, però non ce lo vedo nei panni dell’angioletto. Se c’è un posto dove certi soggetti si ritrovano, allora, un giorno, ci vedremo ancora, e vedremo, Pacciardi, chi siede attorno a quel tavolo.

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