C’è un signore, militante nelle fila della Lega, che è stato eletto sindaco, in una città del nord. Elezioni regolari e posto meritato, nulla che abbia a che vedere con la democrazia è stato messo od è in pericolo.
Questo signore va parlando di “razza padana” e, da ultimo, chiede siano raccolte le impronte dei piedi e del naso delle persone che giungono in Italia provenendo da oltre i confini dell’Unione Europea.
Il fondamento storico e geografico di una regione riconducibile all’immaginifico nome di Padania è inesistente, mentre l’idea che in questo inesistente luogo abbia preso piede una razza è una solenne cretineria. Ragione per la quale non mi è parso mai interessante, e men che meno divertente, occuparsi di questo signore: lo hanno eletto, se lo tengano, personalmente spero che, alle prossime elezioni, vinca un suo avversario.
Il fatto è che, grazie alle spettacolari castronerie che gli escono dalla bocca, detto sindaco è divenuto un personaggio adatto ad animare le scene dello spettacolino tristanzuolo messo in scena da una politica miseruccia. Ragione per la quale mi decido a riesumare i vecchi arnesi di un modo di far politica vecchio, superato, travolto dal nuovo che avanza, e, adottando un linguaggio non meno desueto, formulo la speranza che certe chiacchiere tornino ad essere monopolio degli alcolizzati. Quelli con la sbornia triste.