Il nuovo politicamente corretto impone una premessa: sia chiaro che non sono razzista. Fattala si passa alla sostanza, nella quale si trovano non poche tracce di razzismo. Capita perché si confondono i piani e si bordeggia alticci fra razzismo e autolesionismo.
Si capisce meglio se si osserva il fenomeno dal suo opposto: l’antirazzismo. Siccome il razzismo è il male (come riconoscono anche i neorazzisti, tanto da negare in premessa d’esserlo) e siccome la sinistra è il bene (residuato fossile del politicamente corretto precedente), ne deriva che essere antirazzisti significa essere di sinistra ed essere di sinistra significa essere antirazzisti. Non solo non ha alcun senso, ma è autolesionismo allo stato puro, perché limita artificiosamente l’area della civiltà. Avere qualche anno in più aiuta a ricordare la sinistra di “yankee go home”, che condivideva con il Salvini odierno la premessa strategica: meglio i sovietici, che erano prima russi, come sono tornati a essere. Anche allora ero contrario all’invito di “tornarsene a casa”, segno di una vocazione genetica al rifiuto di ogni politicamente corretto.
Oggi i non razzisti dicono: non ce l’ho con loro perché sono neri, ma perché delinquono. Non ha senso. Intanto perché delinquono anche i cristiani in arrivo da est. Poi perché delinquono anche gli autoctoni. Si dice, però, che di questa sensibilità, di questa percezione è necessario tenere conto. Certo, ma preferisco dedurne che il giusto grido di legge e ordine dovrebbe tradursi nel reclamare che la giustizia funzioni e le pene siano certe. Siccome non lo sento dire, siccome vedo che si applica agli immigrati il medesimo metro barbaro che si applica agli italiani, confondendo l’accusa con il giudizio, dico che quella roba vive in un universo parallelo, ma non coincidente con la civiltà.
A proposito: sono convinto che la nostra sia superiore. Non è questione di cromosomi, ma di istituzioni: lo Stato laico è una costruzione civilmente superiore, la convivenza è una conquista, l’apertura un arricchimento. Nulla di ciò mi pare minacciato dall’esterno, semmai minato dall’interno.
Perché questo succede? Per rispondere si deve ricordare che non succede in un solo posto, ma in tutto il mondo libero, ricco e occidentale. Con diverse gradazioni. Succede che la secolarizzazione (che il cielo la benedica, benché sia contraddittorio) ha fiaccato le letture religiose del mondo e il Vaticano odierno è la pietrificazione di ciò. Dirsi “fratelli” pare sia debosciato. Rimproverarne l’incapacità in sede politica, come certa stampa cattolica fa, significa nascondere il ben più grave fallimento, sul terreno delle coscienze. E succede che se, tramontate le ideologie (il cielo ribenedica la loro eclissi), non si riesce a dare una lettura evolutiva e ragionevole del mondo si finisce con lo scambiare come stagione dell’impoverimento quella che, con la globalizzazione, è stata una stagione di grande arricchimento.
A questo aggiungete forze politiche con ideuzze anemiche e sistema dell’informazione che campa di ascolti e si ritrova per le mani non gli incendi (che ci sono) o i sassi dal cavalcavia (che pare non ci siano più), mentre ha spremuto all’inverosimile il limone della violenza sulle donne, sicché anima una diversa rappresentazione: il razzismo. Con il risultato che se si pubblica la notizia di un nero picchiato o ammazzato ecco che scatta la corrida: le anime affrante per l’affronto razzista e quelle offese perché analogo spazio non è stato dato al picchiato o all’ammazzato bianco.
In fondo sarebbe semplice: le differenze esistono, anche quelle più banali e ovvie, come fra femmine e maschi, ma siamo tutti uguali davanti alla legge, con eguali diritti, ma anche eguali doveri. Sicché non è che se sei nero e vieni dall’Africa è per questo meno grave che vada a rubare e se sei bianco e un nero ha oltraggiato un diversamente colorito sia meno grave che tu vada a picchiare un altro (ma anche lo stesso, perché si fa denuncia).
Forse troppo banale per fare spettacolo, ma meglio della spettacolare autodemolizione cui si assiste.
DG, 31 luglio 2018