Politica

Referendum dell’orrore

Quando (e se) la riforma del Senato sarà completata, quando (e se) le tre letture ancora mancanti confermeranno il testo licenziato da senatori anelanti alla licenza estiva, sarà convocato il referendum confermativo. Non è un’ipotesi, ma una certezza, sia perché i numeri che si sono visti sono ben lontani dalla maggioranza dei due terzi, che lo eviterebbe, sia perché Matteo Renzi, nella duplice veste di segretario del Partito democratico (ah, quanto lontani sono i tempi in cui si menava scandalo perché le segreterie dei partiti dettavano il da farsi a governanti e parlamentari) e di presidente del Consiglio (ah, quanto dimenticato il precetto secondo cui le riforme costituzionali non sono e non devono essere materia dell’esecutivo) lo ha assicurato. Ve lo immaginate quel referendum? Una scena orrida. Un sabba. Taluno, probabilmente in buona fede, reclama il referendum in nome della sovranità popolare. Che gli dei della Costituzione lo perdonino, giacché regnerà sovrana la rozzezza antiparlamentare.

Per capirne le ragioni si deve fotografare la situazione. I vincitori della prima lettura sono due, giustamente festanti: Renzi e Silvio Berlusconi. Entrambe trionfano dominando e, per molti aspetti, sopprimendo il proprio partito. Renzi vince la coppa del cambiamento tenace e risoluto. Quello stesso testo sarebbe stato rigettato con sdegno, dai senatori del suo partito, se a proporlo non fosse stato il loro stesso partito. E, del resto, quando una riforma costituzionale più moderata e più assennata fu proposta e approvata da una maggioranza di centro destra essi usarono un linguaggio a fronte del quale appare moderatamente alterato quello di Beppe Grillo. Berlusconi vince la medaglia della resurrezione: da condannato ed espulso a costituente senza il cui contributo nessuna sorte magnifica e progressiva sarebbe possibile. Figuratevi se i senatori dell’opposizione, quale Forza Italia pare che sia, avrebbero mai votato una simile roba, facendo fare all’ipotetico avversario la parte del trionfatore, se a ciò non fossero stati indotti dal loro capo. Che anche per questo festeggia: la forza parlamentare senza la quale non si riforma un accidente è in mano sua.

Nel frattempo, a suggellare il surreale momento, si discute anche una riforma del Titolo quinto che era già stata fatta, ma abrogata da quelli che oggi la vogliono, tendente a diminuire il dilagare delle legislazioni regionali, nel mentre a quelle stesse regioni viene assegnato il Senato e quando, a causa della fuga governativa dalle responsabilità, assistiamo all’autonomismo legiferante che si estende anche alla fecondazione eterologa, regolandone in sede regionale (credo che la Toscana sia amministrata dalla sinistra) non solo il consentito e il non consentito, ma anche il pagabile (tutto) a spese del contribuente. Per trovare simili autonomie si deve andare a cercare nella legislazione statale degli Stati Uniti, essendo non ipotizzabile in Germania, che pure è uno Stato federale.

Bon, questa è la scena. Arriviamo al referendum. Intanto saremo nel 2016, sicché sostenere che la riforma serva a far ripartire l’Italia significa coltivare un’idea assai originale del mercato economico e dei vincoli europei. Ma insomma, in una tiepida giornata di primavera io elettore mi troverò in mano la scheda ed entrerò, sovrano, nella cabina elettorale. Potrò scegliere, con questa favolosa alternativa: avallare una riforma ciofeca, che non spiana la strada all’autoritarismo, ma demolisce ulteriormente l’autorità democratica; oppure tenermi un sistema scaduto, sia nel senso alimentare che fattuale. E questo è niente, rispetto alla campagna referendaria. Perché nel suo corso avremo forze governative (oggi sono ottimista, c’è il sole, e faccio finta di crederlo) che chiederanno la conferma della riforma ortotteggiando: pochi senatori, non li paghiamo e gli abbiamo anche messo il cesso alla turca. Grillo & Casaleggio style. E avremo forze d’opposizione che citeranno Alcide De Gasperi e i “padri costituenti”, accuratamente ignorandone scritti, parole e gesta.

Se il referendum boccerà la riforma, avremo la dimostrazione che le due forze (Pd e FI) che reggono l’accordo di maggioranza non rappresentano manco i loro elettori. Il caos. Se vincerà la conferma, invece, avremo la certezza non che chiude il Senato (resterà), ma che la Costituzione si può demolirla e riscriverla senza curarsi di un mandato popolare. Il che è coerente, del resto, con l’idea che la migliore democrazia consista nel non eleggere i parlamentari. Scenario orrido. Ma so di sbagliare. Lo so per certo. Dovrei attenermi all’imperitura ricetta di uno dei costituenti abbracciati e sbaciucchiati: “non mi pare … amico mio, fatti li c…. tua”.

Pubblicato da Libero

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