Politica

Referendum greci

Il referendum proposto dai governanti greci non ha nulla di democratico, né di ragionevole. Saranno pure dei grandi esperti e professori di teoria dei giochi, ma questo gioco s’è fatto troppo simile all’azzardo senza senso. Ricordo che, nel 2011, sostenni l’opportunità e la saggezza del referendum proposto dall’allora capo del governo greco, George Papandreou. Che era cosa radicalmente diversa: allora si voleva chiedere ai greci se intendevano restare nell’euro, o preferivano tornare alla dracma; oggi si chiederebbe loro se condividono il programma di aiuti e risanamento che il loro governo non ha concordato con le autorità europee. La prima cosa sarebbe servita a rendere più forte il governo greco nell’applicare misure dolorose, ma necessarie e in gran parte giuste. La seconda servirebbe a perdere tempo e armare la mano del ricatto nelle trattive europee.

Allora, nel 2011, i vertici europei, e in primo luogo il governo tedesco, vollero che il referendum non si facesse. A novembre di quell’anno Papandreou si piegò, segnando così la propria fine. Fu un grave errore, da parte degli altri europei. Non solo si perse l’occasione di costatare che un popolo in crisi, sottoposto a politiche sgradevoli, avrebbe comunque riaffermato la volontà di non abbandonare la moneta comune, ben ricordando cosa era la Grecia lontana dalle compatibilità e dai costumi europei, ma si mise in moto la macchina che avrebbe stritolato e vaporizzato un’intera classe politica. Non innocente e certo non esente da gravi colpe, ma pur sempre consapevole del destino nazionale e del bisogno di porre rimedio a un bilancio disastrato. La storia stessa della famiglia Papandreou (il padre Andreas e il nonno George) e del Pasok, movimento socialista ellenico, è legata alla fine della dittatura e il ritorno della libertà. Invece si preferì imporre un governo tecnico, privo di base elettorale, così aprendo le porte alla lievitazione dei movimenti parolai ed estremisti. Trovate degli aspetti familiari, in questa faccenda? Fate bene, perché ci sono.

Non è democratico, il referendum proposto da Tsipras e Varoufakis, perché gli elettori si troverebbero di fronte a un quesito irragionevole. Non voterebbero sì o no all’euro, o a tutta intera l’Unione europea, ma a un determinato piano. Che essi non conoscono, non hanno trattato e non possono approvare o affondare con una croce. Inseguire il plebiscitarismo, fingendo che la forma sia democratica, perché si vota, è dottrina che avvelena la democrazia.

Se decidessero negativamente, si sarebbero già prima trovati senza liquidi e con le banche saltate. A che servirebbe? Sarebbero fuori. Se decidessero affermativamente il minimo necessario sarebbero le dimissioni del governo e la convocazione di elezioni politiche. Tutto questo solo per potere consentire a Tsipras e Varoufakis di agitare una minaccia e prendere il loro popolo in ostaggio. Non solo non è serio, ma pericoloso.

Questa volta, quindi, è stato saggio rispondere picche, al contrario della volta scorsa. Ai greci può (e deve) essere offerto di salvare i loro conti senza per questo dare in pegno le loro vite. Ciò ha un costo elettorale, per gli altri governanti europei, ma la posta è di maggior valore. Ai governanti greci non può essere offerto di prendere i soldi degli altri e tornare a casa promettendo di spenderli per alimentare il clientelismo e lo spreco interni, così condannando la Grecia a restare per sempre un malato terminale che non termina grazie alle trasfusioni di sangue. Di errori se ne sono fatti una caterva, in questi cinque anni, e molti per egoismo tedesco e francese. Ma non è un buon motivo per commetterne di sempre più grossi.

Pubblicato da Libero

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