L’uso della giustizia a fini politici continua ad avere Berlusconi nel mirino, ma le inchieste giudiziarie che riguardano la politica rendono debole la sinistra alla vigilia delle elezioni regionali. Preparandosi ad un confronto dei risultati, fra le prossime e le precedenti regionali, il centro destra va incontro ad un sicuro successo. La sinistra si apprestava ad un diverso confronto, fra le regionali di domani e le ultime elezioni politiche, in modo da segnalare (o sperare di poter segnalare) qualche difficoltà del centro destra. Ma le inchieste, ed il conseguente discredito, minacciano anche questo accorgimento contabile. La Campania è, da anni, un feudo della sinistra, o, meglio, di Bassolino. Il marcio, però, viene a galla, assieme ad un disagio civile non compensabile con il clientelismo. La Puglia è una conquista più recente, ma i problemi non meno evidenti. Il Lazio anche, è da poco nel medagliere della sinistra, ma la posizione di Marrazzo s’è fatta imbarazzante, ed ancora più imbarazzante quella della stampa fiancheggiatrice della sinistra, che ieri pubblicava audio e video d’ogni privata debolezza, oggi si guarda bene dal dare la caccia a quel che lo stesso governatore definisce una montatura. E si può continuare, considerando anche altre regioni.
Tutto questo, di cui appresso esaminiamo gli aspetti più rilevanti e gli inevitabili riflessi sugli equilibri di potere, non induce ad alcuna soddisfazione. Neanche al popolare: chi la fa se l’aspetti. Perché, semmai, denuncia l’ulteriore impazzimento di un sistema dove le inchieste sono tutto, il giudizio è postumo e la giustizia scompare all’orizzonte.
Nel Paese in cui si vota sempre e continuamente si dubita della democrazia, il prossimo appuntamento è, dunque, fissato a marzo. Al cittadino comune, le regionali interessano poco e niente. Ci sono governatori regionali noti ed altri opportunamente ignoti, ma resta sempre nella nebbia quale sia la loro reale funzione. Del sindaco ci si ricorda, se non altro perché vivendo nelle città si rammenta spesso il nome di chi non provvede a farle funzionare, ma sugli altri livelli elettivi vige l’oscurità, tanto che alcuni, come le province, potrebbero essere soppressi senza arrecare danno ad altri che a chi occupa quelle poltrone.
Gli italiani che lavorano e si dimenano, soffrono e gioiscono, non riescono a percepire la rilevanza del governatore nelle proprie vite. Il resto viene da sé. Per i partiti, invece, quella del prossimo marzo è una sfida di grande importanza. Lo è, prima di tutto, per ragioni di potere: attraverso le regioni passa la gran parte della spesa pubblica, e segnatamente quella sanitaria. Potere e soldi sono l’impasto che regge la politica, che significa favorire la permanenza in vita delle strutture organizzative, con l’emersione di futuri leaders, come anche la mediazione fra interessi reali, quindi l’interlocuzione con chi conta nell’influenzare i media. Perdere seccamente, per la sinistra, all’indomani della scelta del nuovo segretario, significa esporsi al rischio della bancarotta strutturale.
A dispetto del disinteresse collettivo, quindi, quelli sono posti che contano e contabilizzano. Per ragioni d’equilibrio, sempre di potere: la sinistra, da una parte, deve trovare il modo di portare a casa qualche successo, altrimenti la macchina complessiva va in seria crisi, anche economica, ed i dirigenti che non riescono a sconfiggere il governo, per giunta in un periodo di crisi, possono anche gettarsi nel fiume con una pietra al collo; nel centro destra, dall’altra, è aperta una sfida interna, con la Lega che reclama più spazi facendo pesare la propria presenza determinante al nord, incurante del fatto che le elezioni politiche sono state vinte al sud.
Ciò porta ad una campagna elettorale in cui i programmi concreti, le idee di ciascun candidato su quanto può essere fatto dalla seggiola più alta della Regione, non conteranno granché. Per chiamare le tifoserie al voto, quindi, si drammatizzerà la scena nazionale, ciascuno sfidando gli avversari alla tenzone decisiva. Che decisiva non è, visto che è sempre la stessa e si ripeterà in futuro.
Le conseguenze ci saranno, però. Perché se le premesse qui descritte sono giuste, lo schieramento sconfitto si sfarinerà. A sinistra perché l’area moderata non troverà motivi di continuare a subire l’egemonia di chi fu comunista. A destra perché, se ci fosse meno da spartire, ciascuno pretende di più, finendo con l’indebolire un governo che pure ha una vasta maggioranza. Insomma, l’ennesima conta delle forze politiche, l’ennesima occasione per votare contro qualcuno, l’ennesima opportunità persa di pronunciarsi a favore di qualche cosa. Ma, ed è quello che oggi preme sottolineare, l’ennesima sovrapposizione fra politica e giustizia.
All’indomani della sentenza costituzionale sul lodo Alfano è sembrato che la determinazione a riformare tutto, e seriamente, fosse inarrestabile. Nel giro di qualche giorno, complici le pressioni del Quirinale, già si pensa d’approntare l’apposito tavolo della condivisione. Nobile tentativo, che solitamente sottende la conservazione dell’esistente ed il tramonto delle riforme.