Politica

Reietto istruttivo

Ci voleva “l’uomo più odiato di Svezia” per fornire un riassunto facile ed efficace delle enormi falle nel controllo dell’immigrazione. E, pur nel solidarizzare con gli svedesi, non è un male che quell’episodio sia accaduto in un Paese che, al tempo stesso, è un buon esempio di accoglienza e una frontiera interna all’area di Schengen. Basta ragionare sull’accaduto per piantarla con le inutili recriminazioni degli uni contro gli altri (da ultimo i tedeschi verso i greci) e trovarsi a un passo dalla soluzione.

L’uomo più odiato di Svezia è un tunisino. Le telecamere lo hanno ripreso nel mentre tentava di sfilare il portafogli dalla borsa di una signora. Solo che, incrociando la scena lungo le scale della metropolitana, un’altra donna, che teneva per mano due bambini, lo vede e gli dice di smettere. Lui, lungi dal fuggire, reagisce malmenandola. Poi torna sui suoi passi, le sputa addosso e, mentre la donna prende in braccio i bambini, per proteggerli, continua a minacciarla. Quindi si dilegua. Il capo della polizia disse: giuro che lo prendo, fosse l’ultima cosa che faccio nella vita. E lo hanno preso. Così si scopre che fece domanda di asilo, come profugo. Ecco la prima falla: la domanda è stata respinta, ma lui era ancora in Svezia, circolando liberamente, in attesa di conoscere l’esito dei ricorso avverso quella decisione. Quindi, da noi come in tutta Europa, ci sono persone che non hanno titolo per essere accolti, né possono essere accettati come lavoratori immigrati, ma continuano a fermarsi perché in attesa di procedimenti amministrativi.

Agli svedesi giravano vorticosamente, così lo hanno espulso. E qui scatta la seconda falla: l’espulsione lo rispedisce nell’ultimo Paese da lui attraversato per arrivare in Svezia, che, in quel caso, è fin troppo facile da individuare: la Danimarca. Solo che i danesi dicono: è perché mai dovremmo prenderci un tale fetente? Siccome non possiamo farlo scomparire, il dilemma ci dice dove sta l’errore: un individuo espulso da uno qualsiasi del Paesi Schengen non deve essere accompagnato ad una frontiera interna, quindi introdotto in un altro Paese Shengen, sebbene quello da cui era passato, ma accompagnato alla frontiera esterna. Se non si fa così, se dalla Svezia lo si rimanda in Danimarca, quello ce lo ritroviamo a Berlino, Parigi o Roma.

Solo che per provvedere a una espulsione vera, più che meritata, è necessario disporre di una legittimità e di una forza sovranazionale, così come anche di una giurisdizione di pari livello e di un corpo di polizia che provveda all’esecuzione. Insomma, è la stessa identica cosa che proponiamo da anni, ovvero un controllo e una giurisdizione comune delle frontiere esterne, meglio ancora se esercitati in aree extraterritoriali, dove non valgano le leggi e la giurisdizione di nessun singolo Paese, ma solo quelle comuni. In questo caso applicando quel concetto in direzione opposta: non per decidere assieme, con medesimi criteri, leggi e forza, chi può entrare e chi deve essere respinto, ma chi, da dentro, deve essere buttato fuori. L’una cosa è il niente, senza l’altra.

Finché faremo finta che le frontiere esterne siano un affare di chi le vede coincidere con le proprie, finché crederemo serva a qualche cosa prendersela con i greci, finche ci saranno governi, come quello italiano, che usano il tema per reclamare maggiore deficit pubblico (poi lamentandosi delle più che opportune rampogne), finché per mandare via una persona dalla Svezia la si scodella in Danimarca, non faremo che far crescere i problemi, i bisticci dialettali e i moti intestinali che alimentano spostamenti d’aria contro le grandi conquiste del secolo scorso. Ivi compresa la libera circolazione interna all’Europa. L’uomo più odiato di Svezia riassume in sé il problema e porta scritto in fronte la possibile soluzione. Un tale reietto dovrà essere ringraziato, se solo i governi sapranno apprendere la lezione.

Pubblicato da Libero

Condividi questo articolo