Politica

Renzi e Bankitalia

Questa è una settimana decisiva per la sorte della Banca d’Italia, quindi per il più gigantesco trasferimento di patrimonio dalla collettività a dei privati. Il decreto legge, già illegittimo di suo e già demolito dalla Banca centrale europea (negli aspetti relativi all’immediata patrimonializzazione delle banche, ce ne siamo ripetutamente occupati), deve essere convertito entro mercoledì 29. Meglio sarebbe se non accadesse. Il punto politico, che si aggiunge alle altre considerazioni già svolte, è questo: quando il Partito democratico ha votato a favore, facendo coincidere la propria posizione con quella (sventurata) del governo, Matteo Renzi non ne era ancora il segretario; da allora a oggi è passato poco tempo, ma molta acqua sotto i ponti della politica; sul punto il nuovo segretario non ha profferito verbo; la domanda è: cosa intende fare? Far finta di niente, acconsentire alla scelleratezza o prendere una posizione che sarebbe, oltre che seria, meritoria, fermandolo?

Renzi piace molto a quella parte dell’elettorato di destra che più aveva creduto nella “rivoluzione liberale”, sicché è anche la parte più amaramente delusa. Dispiace molto, invece, alla parte dell’elettorato di sinistra che più aveva creduto nella superiorità morale della propria genia e, quindi, all’incomunicabilità etica con l’Italia dell’altra parte. Ai primi Renzi fornisce non solo, e non tanto, un volto giovane, ma uno stile determinato, un linguaggio chiaro e il sollevare temi che erano dei tabù: dalla (opportuna) controriforma del Titolo quinto alla volontà presidenzialista di trasformare la struttura politica e di governo. Piace. Però sono temi, questi, che risaltano su uno sfondo generale, necessariamente proiettato in là nel tempo. E’ vero che lui fissa scadenze ravvicinate e annuncia di non volerle mancare, ma sono pur sempre scadenze interne al meccanismo legislativo, senza immediate conseguenze nella vita reale. La Banca d’Italia, invece, è un tema di ora e con conseguenze di oggi. Non può scantonarlo.

Nel 2005 fu fatta una legge che prevedeva (giustamente) il ritorno delle quote in mano pubblica. Cosa resasi necessaria dopo la privatizzazione delle banche. Assai colpevolmente non fu applicata, andando ad appesantire gli scaffali delle leggi inutili, violate, dimenticate. In ciò la responsabilità del centro destra è notevole. Il decreto che ora si discute, invece, non potrà subire la stessa sorte, perché prevedendo l’opposto, ovvero il passaggio effettivo e definitivo delle quote in mani private, stabilisce anche che nessuno potrà possederne più del 3% (era il 5, nel testo originario), il che porta a un bivio: o si crea un mercato privato delle azioni Banca d’Italia, con lo Stato che ne perde per sempre il controllo (caso unico al mondo, da manicomio); oppure, più probabilmente, sarà la stessa banca centrale a riacquistare se stessa, cioè si spenderanno molti soldi di tutti per riprendere quel che oggi è già di tutti, ma viene ceduto per meno di un tozzo di pane. Una volta convertito il decreto non ci sarà rimedio, perché a quel bivio si troverà chiunque vinca le elezioni e chiunque governi.

Da ciò deriva che un governo in disfacimento, praticamente scomparso dalla scena politica, che neanche dispone di un passato, può ipotecare il futuro. Renzi è disposto a favorire una cosa simile?

Il problema è di Renzi, per due ragioni: a. la destra ha fatto opposizione, ma come più mosciamente non si poteva, mentre gli ortotteri declamavano nel blog, come se non avessero quel popò di gruppo parlamentare; b. alla Camera, però, possono pure tutti immolarsi come bonzi, ma la maggioranza assoluta è del Pd. Ci pensi, quindi, perché questa è faccenda concreta, non annegabile nella logorrea politicante e non riducibile alla baruffe interne a un partito. Ha rilevanza generale e conseguenze devastanti. Se Renzi la pensa come il governo, ha il dovere di dirlo. Se la pensa diversamente, ha il dovere di non tacere. Non essendo parlamentare il suo pensiero non si può conoscerlo con il voto, né credo sia sport avvincente il divinarlo. Qui la concretezza non è una slogan, ma un valore che si misura nelle prossime ore.

Pubblicato da Libero

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