Politica

Renzi Rompa

Matteo Renzi deve stare attento a non subire la sorte di Mario Segni: da protagonista di una stagione a protagonista di un futuro già passato. Il ballottaggio delle primarie sarà vinto da Pier Luigi Bersani. Sono pronto a festeggiare (e votare, alle elezioni vere) il contrario, ma non ci credo. Intanto s’è scatenata una guerra interna, anche solo sulla contabilità dei voti espressi (meno della volta scorsa, quindi non certo un boom), per non dire di quanti avranno diritto al voto, domenica prossima. A Renzi è rimproverata la violazione delle regole, anche a causa di pagine pubblicitarie comprate per aumentare il numero dei votanti. In effetti, quando quelle regole furono fissate mi parve che la partita fosse stata decisa. Mi domandai anche se Renzi era un perdente consenziente. Non se ne erano accorti, lui e i suoi quotati collaboratori? Ma la domanda politicamente rilevante è un’altra: cosa succede, lunedì mattina?

Difficile che un centro destra con l’encefalogramma politico piatto raccolga la (solo apparentemente strana) sollecitazione di Maurizio Belpietro. Difficile che lo stesso Renzi sia in quel senso disponibile. Ma difficile anche immaginare che possa farsi da parte e attendere un’occasione successiva, perché in pochi mesi lo scenario cambierà e il patrimonio di consensi che oggi potenzialmente gli spetta può svanire.

Dopo la prima assemblea della Leopolda, tenuta nel 2010, osservai che i contenuti di quell’incontro erano assai interessanti e promettenti. Nel febbraio e nel marzo del 2011 tornai, qui, a scrivere che Renzi era un ottimo candidato per una sinistra occidentale e di governo. E ricordo le due tipologie di lettori che m’indirizzarono il loro vivace dissenso: a. cittadini di Firenze (confermando la natura di quella splendida città); b. antiberlusconiani-moralisti, a prescindere. Anche le proteste aiutavano a capire che quel candidato poteva attingere a bacini elettorali fin lì non comunicanti.

Il fatto è che a cavallo o dopo le prossime elezioni politiche l’Italia sarà spinta a chiedere gli aiuti europei, non essendosi risolta la crisi dell’euro. A quel punto i probabili vincitori delle elezioni (stante il disfacimento del Pdl) si ritroveranno con una maggioranza disomogenea alla Camera e probabilmente senza maggioranza al Senato, e con assemblee elettive affollate da parlamentari eletti sventolando il rifiuto dei vincoli europei, esattamente quelli cui si dovrà sottostare. In ogni caso con una piattaforma politica disomogenea rispetto alla condizione oggettiva in cui sarà l’Italia. Ciò potrebbe propiziare la nascita di un nuovo governo commissariale, ma a parti invertite, rispetto alla legislatura che sta agonizzando: la sinistra che deve passare la mano e la destra che giunge in soccorso. Ulteriore commissariamento che sarà ancora servente le imposizioni esterne, ma incapace di profonde riforme interne, per le quali è indispensabile una maggioranza politica.

Allora, che succede lunedì mattina? Renzi s’acconcia ad essere il perdente, accomodandosi in panchina e attendendo il proprio turno? Rischia di non arrivare mai. E se è vero che una sinistra guidata da Renzi raccoglierebbe, oggi, la vittoria, è anche vero che il coraggio della rottura, sfidando entrambe i poli del bipolarismo fallito, mandando in pezzi la convenzione fasulla su cui s’è retta (in modo inconcludente) la seconda Repubblica, potrebbe raccogliere di più. Ove a questo non punti Renzi porterebbe a casa il solo risultato di avere tolto Massimo D’Alema e Valter Veltroni dai piedi di Bersani, consegnando la sinistra all’alleanza con Nichi Vendola. Riverniciandola con la propaganda di primarie all’esito delle quali il meglio che si può sperare è che il gruppo dirigente che fu comunista abbracci la socialdemocrazia, trenta anni dopo che questa è fallita in Europa. Una scena grottesca, che non tiene minimamente conto del fatto che si deve mettere in discussione il modello di welfare, non trovare il modo di finanziarlo fino a morirne.

La sinistra è in vantaggio, oggi, sia per gli errori imperdonabili della destra sia perché nel suo seno c’è stato chi ha messo in discussione la continuità, creando le condizioni per una novità che rischia di degenerare in nuovismo. Nella destra questo non c’è stato, anche perché vive l’affanno di aver fatto invecchiare e deperire l’effettiva novità (comunque la si voglia valutare) del 1994. Ma il pesce non resta fresco a lungo, né si può ributtarlo in mare il giorno appresso. Nel mare ci si deve buttare quando si è ancora vitali. Non mi piacciono i personalismi e fuggo i leaderismi, ma capita che a una persona sia offerta la possibilità di cambiare il corso delle cose. Oggi è Renzi che ha questa possibilità, se rompe tutti gli schemi e non solo il conformismo sinistro. Prenda atto che, confinata nella sinistra, la sua diventa la testimonianza di ciò che potrebbe essere e non è. Raccolga quanti sono consapevoli dei problemi, reclamano riforme vere, chiedono quelle istituzionali e ne hanno le tasche strapiene (anzi: stravuote) delle tifoserie dissennate. Faccia da punto di raccolta dell’Italia che corre e guarda al futuro. Ci vuole una lista che sia antagonista della paura e della stagnazione, senza demagogie. Con quella si parla alla maggioranza degli italiani.

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