Politica

Retorica del declino

Il Presidente Ciampi ha invitato a nulla concedere alla retorica del declino. Ha ragione, intanto perché la retorica non è mai una bella cosa.

Ed ha ragione anche perché il piangersi addosso, il lagnarsi, il commiserarsi non servono ad altro che a ridurre le speranze di cambiamento e sviluppo.
Anche noi, nel nostro piccolo, come il Presidente, ne abbiamo le tasche piene di quest’eterna autoflagellazione, seguendo la quale saremmo i più sprovveduti, i più corrotti, i più arretrati ed i peggio governati del mondo. Forse Ciampi non lo sa, ma anni fa, in uno splendido monologo sul comunismo, Giorgio Gaber inserì un’urticante presa in giro per quanti sostengono sempre “peggio che da noi, solo in Uganda ?”. Bene, quindi, a morte la retorica del declino.
Però la dieta deve essere bilanciata, altrimenti finiamo tutti come i pretini di Giacomelli (il fotografo), che li ritraeva sullo sfondo nevoso, felici e girotondanti, con il volto sereno, quasi giulivo, ma in preda ad un’estasi un tantinello beota. La retorica del declino non è una buona cosa, ma la tiritera del tutto va bene madama la marchesa non è meno priva di dignità.
E’ vero che sui mercati internazionali si può ben eccellere anche con l’Euro (e già dirlo così è un dramma, perché la nuova valuta dovrebbe essere un vantaggio, non un ostacolo), ma è anche vero che l’Italia mantiene una pressione fiscale altissima, che da una parte deprime i consumi, dall’altra alimenta spesa non produttiva. E’ vero che il nostro sistema scolastico non ha nulla da invidiare a quelli d’altri paesi, ma non la stessa cosa può dirsi del nostro sistema universitario e, comunque, gli investimenti nella ricerca sono al minimo storico. E’ vero che il malfunzionamento della giustizia non è un problema solo italiano, ma noi deteniamo il record europeo di malagiustizia, il che ci degrada dal punto di vista civile, ma, anche, rende assai inefficiente ed insicuro il mercato economico. E’ vero che nessun sistema elettorale ed istituzionale è in sé perfetto, ma è anche vero che noi abbiamo adottato un maggioritario cui non hanno fatto seguito coerenti riforme istituzionali, con il risultato che la stabilità non si accompagna alla governabilità. E così via.
Che non si debba cedere allo sconforto è giusto, ma sarebbe incosciente il credere che quest’andazzo possa condurci altro che al declino. Già, perché questo è il destino che tocca ai paesi meno dinamici, più ingessati nelle loro contraddizioni e corporazioni, ed inseriti nel quadro dell’Unione Europea. Non succede nulla di drammatico, se non si riesce a stare al passo con lo sviluppo economico, politico e civile, solo, ogni tanto, arriva un richiamo, poi una deprecazione, infine una condanna, ma qui stiamo e qui restiamo. Contando sempre di meno e con i nostri gruppi industriali impoveriti e smembrati, con i nostri cittadini che cercano giustizia a Strasburgo. Ciascuno lo chiami come gli pare, ma non è una bella cosa.

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