Politica

Ri-costituente

Tutto quel che funziona ed è convincente, in Matteo Renzi, ha un’impronta fortemente presidenzialista. L’uomo scelto dal popolo, azione di governo personalizzata, ministri strumentali alla politica del presidente e non dotati di significativa forza propria. Quel che è meno convincente, e non funziona, è legato alla schema della rottamazione, alla dicotomia cambiamento-conservazione, ma senza che sia chiaro in che consista. Da qui un’abborracciata riforma del bicameralismo, una bislacca proposta per il sistema elettorale (più conservativa che innovativa), la raffica di decreti che hanno denominazioni apparentemente rivoluzionarie. Tutto come quei giorni di afa in cui il cielo s’annuvola, i tuoni si moltiplicano, la voglia di pioggia crescere (il contrario di quel che è avvenuto a Roma), ma dall’alto non si minge una goccia, lasciando tutti a sbrodare nell’umidità e a maledire l’illusione. Il presidenzialismo è renziano. Ma lo propone la destra. E, secondo “ma”, non può certo passare dalla cruna del 138 (articolo della Costituzione che ne regola la riforma). Neanche la cancellazione o l’atrofizzazione del Senato, però, potrebbe passare da lì. Ragionando, si vede l’uscita.

Ci fu una sinistra presidenzialista. Quella del Partito d’Azione, di Pietro Calamandrei e Leo Valiani. Tutto si poteva sostenere, tranne che non fossero dei democratici. Ma la sinistra prevalente, comunista e socialista, ha sempre considerato il presidenzialismo una specie di teoria fascista. Giunsero al punto di dare del fascista, perché presidenzialista, a Randolfo Pacciardi, eroe della guerra di Spagna e poi di quella partigiana, certamente mille volte più democratico di tanti stracciavestaioli comunisteggianti. Ciò capitava per una ragione precisa: quei partiti contavano perché centrale era il Parlamento e lì si facevano gli accordi, sopra e sotto il banco. Col piffero che avrebbero mollato tale rendita. Ma è finita. Da un pezzo. Lo aveva capito e praticato Bettino Craxi, non a caso, anche lui, raffigurato da fascista. Ora lo sa e lo dice anche Renzi, che di Craxi è un continuatore post-berlusconiano. Bene.

Siccome, a quel che sembra, non si sa mai, pare che il presidenzialismo sia divenuta la posizione di Forza Italia, ecco che con un po’ di coraggio e determinazione si potrebbe anche riuscirci. Ma farlo passare con il 138 è abominevole. Con tutto il rispetto: non è che il testo della Carta possa dipendere dai casi-Mineo, in un senso o nell’altro. I Costituenti, del resto, lasciarono la porta aperta alle riforme, non alle riscritture. Per non sprecare le possibili convergenze, allora, si deve avere la lucidità di portarle davanti agli elettori. Ecco come: dal 138 si fa passare un’Assemblea ricostituente, composta da 101 ricostituenti (così vanno alla carica), con un anno di tempo a disposizione.

Questo iter può essere completato entro la prossima primavera, quando gli italiani potranno essere chiamati al voto (tanto ci saranno le regionali), senza che questo in nulla coinvolga il governo. Ciascuno si presenterà dicendo: a. il modello che preferisce (presidenzialismo, semi-presidenzialismo, parlamentarismo, federalismo, etc.); b. quali menti e competenze ha scelto per redigere il testo. Nulla proibisce di candidare pizzicagnoli, salvo trovare elettori disposti a farsi curare il diabete dai medesimi. Si vota con il sistema proporzionale (l’unico lecito per le costituenti). A fine 2016 avremmo un testo nuovo. Il che renderebbe utile il ricambio parlamentare, come quello al Quirinale. Il tutto in modo serio, trasparente, guardando al futuro e senza lasciare troppo spazio a bimbi bizzosi e capricciosi, ieri interpreti dell’epiteto e già pronti per l’epitaffio.

E la riforma già impostata dal governo? Quella roba porta e va a finire male. I governi non cambiano le costituzioni (ci sarà pure qualcuno che se ne ricorda!). E’ solo il gioco del cerino, acciocché qualcuno si prenda la responsabilità della rottura. Fa guadagnare tempo nella speranza che porti anche guadagni elettorali. E’ la quintessenza della conservazione. Ma del peggio. Meglio mollare quel che sa di marcio ancor prima d’essere colto.

Pubblicato da Libero

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