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Ribaltati

Ribaltati

Oggi il Consiglio dei ministri vara il testo delle riforme costituzionali. Un tempo si sosteneva che questa fosse materia parlamentare e non governativa, puntando a un consenso che superasse quello della maggioranza che regge l’esecutivo. Saggia posizione, che fu oltraggiata nel 2001 a cura della sinistra. Gli errori si pagano, con gli interessi.

Il testo odierno lo leggeremo e ci sarà molto tempo per discuterne. Il timore non è che contenga tentazioni autoritarie (destra e sinistra se lo dicono a vicenda da tanto di quel tempo che la cosa ha perso ogni credibilità), ma che agguanti soluzioni scombiccherate. La democrazia corre dei pericoli non soltanto quando si vuole esplicitamente sopprimerla (cosa che non accade da tempo) ma anche quando la si fraintende (cosa che accade spesso). Ad esempio con il mito del consenso popolare, degli “eletti”.

I modelli costituzionali virtuosi sono diversi e la loro virtù non risiede in questa o quella organizzazione istituzionale, bensì nel salvaguardare l’equilibrio dei poteri e nell’evitare che se ne coaguli troppo in un punto, ponendo le premesse per la trombosi. Da nessuna parte si elegge il capo del potere esecutivo, legando alla sua sorte quella del potere legislativo e di controllo. Sarebbe una bestemmia.

Gli Stati Uniti sono uno Stato federale, in cui si elegge direttamente (per la verità non è così, tanto che Clinton prese più voti di Trump eppure fu eletto Trump, ma saltiamo le complicazioni) il presidente, che è capo dell’esecutivo, ma poi ciascun ministro deve avere la fiducia del Parlamento, che si rinnova (per parti) ogni due anni e nel quale il presidente può perdere la maggioranza senza che possa permettersi di scioglierlo.

In Francia gli elettori scelgono direttamente il presidente, ma quello poi nomina un capo del governo che deve avere la fiducia del Parlamento e che può cambiare nel corso della legislatura. Il voto presidenziale e quello parlamentare non coincidono, sicché il presidente può non avere la maggioranza. Come ora è capitato e come è capitato altre volte.

L’Inghilterra è la patria del premierato (termine che da noi s’è preso a utilizzare a cappero), ma il premier non è affatto eletto direttamente e può cambiare non una (come pare sia irragionevolmente previsto dalla bozza italiana) ma più volte. Come è appena capitato. Punto fondamentale, la sorte del premier è in mano al suo partito: né Thatcher né Blair persero mai le elezioni, ma entrambi furono sostituiti, in corso di legislatura, dai loro partiti.

In Germania non si può certo dire che i governi siano deboli, ma il cancelliere non è eletto direttamente e si vota con il sistema proporzionale. Conta il costume politico, che da noi è cangiante.

La democrazia non è soltanto nel voto, ma nel voto dentro uno Stato di diritto. Anche in Russia si vota, ma non è una democrazia e conta un fico secco che il despota prenda più voti. Democrazia e Stato di diritto sono sempre perfettibili, perché meravigliosamente imperfetti, ma devono avere un equilibrio e una coerenza interni, altrimenti il pastrocchio uccide l’intenzione.

Interessante la tesi che sostiene il presidente del Veneto Luca Zaia: sarebbe «anacronistico che il futuro premier eletto non abbia il limite di mandato mentre governatori e sindaci sì». Ha ragione. Ma porta a metterlo, il limite, non a toglierlo. Ciò per una ragione fondamentale: mentre la rappresentanza (parlamentari e consiglieri) segue soltanto il consenso e può riprodursi all’infinito, il potere esecutivo deve essere limitato. Quindi delle due l’una: o deriva e dipende dal consenso di parlamentari e consiglieri, nel qual caso può non avere scadenza, o deriva direttamente dal consenso popolare, nel qual caso deve avere un limite temporale, altrimenti rigenera sé stesso. Chi avesse dei dubbi potrebbe studiare la riforma introdotta negli Usa da Roosevelt (che non pensò gli americani fossero idioti, ma misurò su di sé il pericolo del consenso raccolto usando il potere, anziché per raggiungerlo).

Supporre che il consenso legittimi il potere – e non soltanto la rappresentanza – e che il perpetuarsi del consenso perpetui la legittimità del potere significa non avere capito cos’è una democrazia in uno Stato di diritto. E l’ignoranza di oggi diventa il pericolo di domani.

Davide Giacalone, La Ragione 3 novembre 2023

 

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