Siamo in piena sindrome infantile, della serie «Ha cominciato lui» o «Sono stati prima loro». Un frammisto di stizza e ripicca che innesca una insensata corsa non a distinguersi gli uni dagli altri, ma a giustificarsi richiamando le somiglianze. Surreale, tanto più che si chiamano gli elettori a votare per una parte onde scongiurare il pericolo mortale che vinca l’altra, salvo poi sostenere che non è giusto criticare chi fa oggi le cose che facevano gli altri prima. Il tutto dimenticando che quelli prima di quelli di prima sono quelli venuti dopo e adesso. Cioè, per farla semplice, sono sempre gli stessi. E se nei vizi si ricade non è per natura viziosa, ma per incapacità viziata.
Arrivano i nomi dei nuovi capi in testa della Rai e, naturalmente, si fa osservare che la destra vincente sta lottizzando la televisione pubblica. Potrebbero rispondere: a. non è vero, perché i nuovi vertici hanno un disegno culturale e industriale che è il seguente; b. non è vero, perché con la nuova dirigenza avviamo un processo di privatizzazione, quindi la fine della spartizione. La prima cosa rimane senza progetto alcuno, mentre la seconda solo nella mente bacata di qualcuno che ancora crede esista la ragionevolezza. Invece rispondono: prima di noi l’hanno lottizzata gli altri. E se andate a prendere le motivazioni della precedente lottizzazione trovate esattamente il medesimo concetto, a parti invertite. Insomma, la lottizzazione è invisa ai perdenti e praticata dai vincenti. Il che, dal 1994 a oggi, a turno sono stati tutti. E c’è una prova che fa morire dal ridere: è tanto vero che i nuovi lottizzati c’erano già quando vigevano i vecchi lottizzati, naturalmente conservando i decaduti, pronti per una nuova stagione. Intanto la Rai perde soldi e ascolti, ma questo non interessa a nessuno.
Ora lo schema si riproduce sull’ordine pubblico. In piazza, a controllare e rischiare, non ci sono mai i governi: ci sono le Forze dell’ordine. I numeri dicono che nella grande maggioranza dei casi le cose si svolgono con professionalità, anche laddove ci sono criticità e provocazioni. Per questa ragione è importante individuare e correggere errori, quando si manifestano. Errori che non sono il frutto di un diverso indirizzo politico, ma semmai di una scarsa preparazione di quanti svolgono quel lavoro. Dal che discende che quelle Forze devono essere difese, nella loro funzione, anche da quanti al loro interno si abbandonano a inutile e dannosa violenza. Come capitò, capita e sarebbe bene non capitasse. A scanso di equivoci: in piazza si prova ad assicurare la sicurezza e contenere proporzionalmente la violenza – talché si usa l’arma da fuoco in pericolo di vita propria o altrui, il manganello in pericolo di sfondamento e non si cede a insulti, spinte o sputi – mentre le più che giuste repressione e punizione si praticano in tribunale, condannando chi viola le leggi. Per questo è irrinunciabile la giustizia funzionante.
Quanto è bella la destra di “legge e ordine”. Tanto bella che la sinistra dovrebbe imparare che il rispetto della legge e dell’ordine è essenziale per difendere gli interessi dei più deboli. Quanto è sconfortante sentire dire: «Quelli di prima facevano peggio». Ammesso e non concesso, sarebbe un buon motivo per mandarvi tutti a fare altro. Cosa che la metà dell’elettorato fa ogni volta che cercate voti. Che destra è quella che chiama a discarico le cariche fatte contro altre violazioni della legge? Il solo dubbio che suscita è se siano ancora tutti no-vax di scuola russa, posto che taluni sembrava avessero frequentato un corso di recupero alla scuola occidentale (perché gli esempi da loro tirati in ballo sono di manifestazioni no-vax, per capirsi).
La ripicca è infantile e disarmante, perché segnala la povertà di tutta intera una classe dirigente. È una modalità che può chiamare solo il consenso ‘contro’ gli altri, per fare al posto loro quel che fecero. Il che è becero. Con la postilla finale: «Non accettiamo lezioni». Peccato, ne avremmo bisogno tutti.
Davide Giacalone, La Ragione 1° marzo 2024