La lunghissima crisi non è gratis. L’Italia e gli italiani stanno pagando un prezzo assai alto, in termini di credibilità e affidabilità. Chi gira per il mondo e nel mondo lavora, come a me capita, anche in questi giorni, conosce bene l’attitudine del luogo comune diffuso, circa l’italianità: siamo bravi, ma cazzerelloni. Gli anni del bunga-bunga non sono stati piacevoli, ma il pregiudizio che se ne subiva non era malevolo. Semmai, gli interlocutori, sparsi per il globo, ti chiedevano conferma di quel che leggevano sui giornali, o ascoltavano in televisione: davvero c’è una parte, maggioritaria, d’italiani che crede quella sia la nipote di un egiziano famoso? è vero che su questo tema ha votato anche il vostro Parlamento? E via con il ridere e il dar di gomito. No, non era piacevole, anche perché chi lavora e si fa in quattro non è che faccia i salti di gioia a dover parlare in questi termini. Ma noi restavamo, in genere, quelli che producono le cose migliori, più belle, più adatte al vivere bene. Insomma, il bungabunghismo lo dribblavamo buttandola in caciara.
I tempi che viviamo sono ben diversi. Senza alcun sorriso, né di scherno né di mascula solidarietà, ti domandano cosa potrà accadere, in quella penisola lontana, ma così ambita dai loro consumatori. Rispondi che, in effetti, il risultato elettorale non rende facili le cose, ma che se ne uscirà, come se ne è sempre usciti. Bene, ti rispondono, ma perché perdete tempo? Le vostre forze politiche non vedono che vi stanno stritolando gli attributi nella morsa di un euro che, per voi, funziona come una valuta straniera, per giunta ostile? E siccome loro lo vedono bene, ed escludono che sia sensato uscirne unilateralmente, ne deducono che le forze parlamentari, in Italia, hanno perso l’unica funzione che le rende preziose, in tutte le democrazie: la pratica del compromesso. Se davanti a un pericolo maggiore non trovano il modo per mollare impuntature minori, è segno che non capiscono quel che succede. E chi non capisce è perso. Per questo sono spariti i sorrisi.
Tranne che non si tratti di negoziati, magari avviati da tempo, e che si riferiscono all’afflusso di capitali in Italia, contribuendo in fondi o integrando il capitale sociale di nostre aziende (che sono gioielli). In questo caso sorridono e rassicurano: no, non ci abbiamo ripensanto, andiamo pure avanti, ma prima di concludere aspettiamo di vedere cosa succede. Tu mi capisci, vero? E lì il sorriso non manca. Diciamo che sigilla un non smarrito rispetto personale, che, però, non può estendersi al sistema-Paese nel quale pensi di condurre i loro capitali. Niente sorrisi e niente rispetto, invece, quando ti offrono di pagare la metà del richiesto, perché, ti dicono, l’Italia non è in buone condizioni. Vi conviene accettare.
A questo si aggiunga il problema delle banche. Le nostre sono meno malate di altre, in Europa, ma sono sottocapitalizzate, ancora nelle mani delle fondazioni, quindi della politica, e minacciate nella loro sicurezza istituzionale, laddove s’indica la lezione cipriota come valevole per un generale esempio. Quindi gli affari ai quali si lavora si tenta di appoggiarli o alle banche della controparte, ed è un segno di debolezza, o a quelle presenti in Italia, ma non italiane, ed è un’umiliazione.
L’italiano con la valigetta non si ferma davanti a nulla. Ha già provato al mondo il proprio valore. E’ abituato a non avere aiuto alcuno dal suo Paese. Ma quando guarda ai tempi, ai modi, alle parole del dibattito politico italiano non può evitare di chiedersi: ma questi, in che mondo vivono? La loro inconcludenza è pericolosa. La loro convinzione di vivere dentro una stanza chiusa, dove giocare ai soldatini mentre la mamma prepara la cena, è folle. I mercati hanno molte complessità, ma anche una loro lineare banalità: sei capace di capire e reagire, oppure no? Nel secondo caso sei inaffidabile. Puoi essere buono per mollare ricchezza, visto che ne sei pingue, ma non per crearla.
Vista da questo angolo, vista da lontano, l’Italia sta correndo rischi gravissimi. Resi ancora più terribili dall’essere rischi fessi e inutili.
Pubblicato da Libero