Politica

Rispettarla e cambiarla

E’ partito il grande assalto. Che sia l’ultimo non è detto, dato che è l’ennesimo. Nella foga, però, oramai non si bada alle vittime collaterali, si passa sopra tutto, Costituzione compresa. Diciamolo senza glassa retorica, anche perché la partita politica è agli sgoccioli, il governo cotto, il suo capo mal ridotto, ma la quantità di macerie che si sta accumulando renderà difficilissimo ripartire. Nuda e cruda: il Presidente della Repubblica è uscito dal seminato costituzionale, ha infranto il dettato dell’articolo 87. Lo sanno tutti, anche quelli che fanno i vaghi.

Il problema non è quel che ha sostenuto, ma il modo. Ha interpretato un ruolo tutto politico, e non va affatto bene. Certo che il Paese cresce unito, ma è già unito, e non cresce. Certo che le fanfaluche separatiste sono delle bischerate, ma c’è chi lo ha sempre sostenuto (come chi scrive) e chi, invece, si regola secondo convenienza. Come colui il quale era ministro degli interni nel 1997, quando la Lega fondò il Parlamento del Nord. All’epoca la Lega era una “costola della sinistra” e la divisione da Berlusconi assicurava la vittoria a Prodi, e al suo ministro degli interni. Che non usò i toni odierni. Era Giorgio Napolitano. Certo che il federalismo inteso come teoria scassa Stato unitario è deprecabile, ma perché non lo dice alla sinistra che varò la riforma del titolo quinto della Costituzione? Ora la Confindustria s’è accorta che quella roba va cambiata, noi lo dicemmo allora. E fu cambiata, con il concorso della Lega, in senso più unitario (guarda un po’), ma poi cadde, perché si volle il referendum, la sinistra lavorò per affossare la riforma e il centro destra si squagliò. Ricordate?

Certo che questo sistema istituzionale è penoso. Qui scrivemmo subito che il premio di maggioranza (da non confondersi con il maggioritario) è incompatibile con la Costituzione. Ma fu quel premio che consentì l’elezione di un Presidente della Repubblica espressione di una minoranza elettorale: Giorgio Napolitano. Egli è il mio e il nostro Presidente, ma non se ne può più dell’ipocrisia imperante, della viltà in cattedra, dell’ossequio monarchico: quello che Napolitano ha fatto a Napoli non sarebbe stato consentito al re, vigente lo statuto albertino.

Mi rispondono: ci sono precedenti. E’ vero, ma non è una buona ragione. A meno che non si voglia sostenere che va cambiata la Costituzione. Concordo. Ma se si dice che la Carta è sacra ed intoccabile e poi la si calpesta, allora no. Proprio no. Napolitano ha detto: il sistema elettorale dei comuni ha funzionato. Vero, ma la sua versione nazionale si chiama presidenzialismo. O premierato. In ogni caso consegnare agli elettori la facoltà di scegliere chi guiderà il potere esecutivo. E’ questo che si vuole? Sarebbe ragionevole, ma va detto chiaramente, consapevoli delle conseguenze: riscrivere la Costituzione.

Per singolare coincidenza (immagino sia una coincidenza), lo stesso giorno Diego Della Valle ha pubblicato un suo appello. Dice: politici e forze politiche fanno pena, sia dal lato della maggioranza che dell’opposizione. Vero, anche questo lo abbiamo scritto e riscritto. Aggiunge: anche molti miei colleghi industriali fanno pena. Giusto. E poi? Se questo è il quadro (e questo è, più o meno), la via d’uscita non può che essere la riscrittura delle regole. Della Costituzione. Altrimenti resta il suicidio o  un governo non votato da nessuno. Pericolosissimo. Cambiare le istituzioni può servire a restituire loro dignità se si opera il modo che il suffragio popolare serva ad indicare chi governa e si consegna ai vincitori un potere reale. Naturalmente con tutti i necessari contrappesi. Ciò s’incarna nella vasta famiglia dei sistemi presidenziali o semi presidenziali.

Credo sia giusto incamminarsi, anche in fretta, ma è bene muovere il passo evidenziando la necessità e individuando la sede, piuttosto che demolendo con rabbia cieca. Berlusconi passerà, per quel che non è già passato, ma tali copiose dosi di veleno non saranno smaltite subito, resteranno in circolo, rendendo impossibile non questo, ma qualsiasi governo. L’Italia è divenuto un Paese di vecchi che si odiano, pronti a tutto per cancellarsi a vicenda. Forse è il caso di fermarli, sempre che sia rimasto un po’ di midollo, nella schiena di vaste culture vocate al servo encomio e al codardo oltraggio.

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