L’Italia corre verso un sistema forzosamente bipolare, ma nel frattempo i poli si squagliano. E’ stata già approvata la futura legge elettorale, che prevede un ballottaggio per l’assegnazione di un premio di maggioranza unico nazionale. Un sistema che non porta stabilità, ma rigidità. Che comporta la selezione di due liste in gara per la maggioranza assoluta degli eletti. Ma la corsa non frena lo sfarinamento dei poli, a destra come a sinistra. Il che comporterà la vittoria, assicurata per legge, in capo non alla forza che aggregherà di più, ma che perderà di meno. Non basta essere digiuni di diritto costituzionale e impermeabili alla prudenza istituzionale, ci vuole la cecità di chi privilegia la vittoria sulla ragionevolezza della competizione per non avvertire la pericolosità di quel che accade.
A sinistra la parodia delle primarie, con ricorsi ancora pendenti (sicuramente perdenti), e l’avversione della sinistra post comunista alla mutazione genetica imposta al partito che fondarono e che persero, a destra il festival masochista di Roma, dove la storia di questo schieramento cominciò e s’appresta a finire, sarebbero sintomi letti come dimostrazione della malattia frazionista indotta dal sistema elettorale proporzionale, se non fosse che se ne è adottato uno non maggioritario (magari!), ma forsennatamente spinto verso il premio di maggioranza. Si volevano inguainare le trippe, ma quelle straripano.
Una sorte che riguarda l’intero sistema, sicché noi tutti. Comunque la si pensi. Sorte che poi si differenzia, a seconda dei processi di disgregazione in corso. Grazie a quelli, giusto per citare un esempio, la sinistra perse la Liguria. Vedremo cos’altro riuscirà a perdere. Ma in quella parte politica i pezzi che si differenziano e staccano rifiutano la corsa verso il centro, che distingue la nuova e più giovane dirigenza. A destra succede una cosa diversa: si abbandona la forza che può sperare di prendere voti al centro, privilegiando le rappresentanze identitarie. Una gara a distinguersi nello schieramento che perde.
E se, per restare a destra, il centro ha perso forza attrattiva e coesiva non lo si deve solo (ma neanche prevalentemente, credo) alla oramai lunga carriera politica e diminuita presa del federatore. Lo si deve all’avere perso programmi e proposte che parlino all’Italia razionale, che ha interessi materiali da difendere (fortunatamente). L’avere lasciato correre, per troppo tempo e su troppe cose, il prevalere di linguaggi e idee di tono e di sostanza estremista, l’avere abusato nel carezzare sentimenti popolari esistenti, come la paura e la rabbia, ha fatto perdere peso alla politica, premiando lo sbraitare sul comunicare. Errore grosso, se poi si vuol rappresentare l’Italia che, per sua natura, magari ribolle d’indignazione, ma non riempie le piazze. Semmai svuota le urne.
Basta essere al governo per sostenere che tutto va bene, come fece la destra ieri e fa la sinistra oggi. Anche a dispetto dell’evidenza. Basta trovarsene fuori per affermare che tutto va male. Anche a dispetto della realtà. Se si mette in conto di potere vincere, come è capitato sia a destra che a sinistra, si prova a correggere il tiro, accudendo la maggioranza silenziosa. Se si crede d’essere candidati a perdere si alza il tiro, inseguendo le minoranze rumorose.
Quel che accade a Roma è emblematico. Non basterà “sedersi a un tavolo”. Non basterà riabbracciarsi in pubblico. Ammesso che ci riescano. Non si tratta di ricostruire un’immagine, ma una sostanza. Ci vuole una destra in cui si faccia a gara nel suggerire dove tagliare la spesa pubblica e come imporre rigore all’amministrazione collettiva. Una destra che sappia parlare dei doveri, del lavoro, del rischio, della ricchezza da produrre e non da regalare. Le amministrative passeranno, ma le politiche si faranno. Il rivendicazionismo parolaio è il miglior complice che il governo può augurarsi, quando i numeri dell’economia renderanno ancor più corposo il danno del tempo e delle occasioni sprecate.
Pubblicato da Libero