Nicola Rossi ha deciso di non rinnovare la tessera dei ds, che prese dieci anni fa. La cosa non riguarda solo lui, i ds e la sinistra, è una questione di rilevanza generale. Iniziando la collaborazione con Libero dichiarai subito che ritenevo la nascita di una sinistra di governo la questione fondamentale, e non nuova, della democrazia italiana.
Sinistra di governo significa sinistra anticomunista, riformista, occidentale, pragmatica. Di quella sinistra sono esistiti testimoni ed interpreti, come Ugo La Malfa, Giuseppe Saragat e Bettino Craxi, diversi fra di loro, ma prima di tutto diversi dalla maggioritaria (nella sinistra) forza dei comunisti. Naturalmente un Paese democratico ha bisogno di una sinistra di governo e di un’analoga qualità anche nello schieramento conservatore, parlamentarmente identificato come destra. Ma in Italia il ritardo drammatico è quello della sinistra, mentre la destra, di cui non ci stancheremo di sottolineare debolezze e disomogeneità, è più moderna.
Nicola Rossi è un economista riformista, serio, di cui si possono condividere o meno le idee, comunque fondate su dati di fatto e non su pregiudizi ideologici. Egli crede, come anche noi crediamo, che sia giusto ridistribuire le opportunità, non le risorse, mettere ciascuno nella possibilità di essere il primo, non costringere tutti ad arrivare ultimi. Ha militato nei ds ma oggi non ritiene sia utile continuare, perché dice: “la sinistra non ha più energie riformiste”. Una diagnosi drammatica, che purtroppo condivido. Basti guardare al tema delle pensioni, come anche all’intera struttura della finanziaria approvata a fine anno, per rendersi conto che il governo è in mano alla sinistra massimalista ed al parrocchialismo assistenziale, ovvero ai figli del pregiudizio ideologico contro il mercato, contro il merito e contro la ricchezza. In mano ad una sinistra conservatrice, che punta ai voti dei pensionandi rifiutandosi di tutelare gli interessi dei giovani lavoratori, che protegge i protetti e lascia gli esclusi al sussidio dell’elemosina statale.
Molti sembrano credere che esista un’alternativa politica chiamata “centrismo”. Falso, la speranza d’Italia passa per un riformismo che dovrebbe essere forte e dominante da una parte e dall’altra e che invece, oggi, è ancora più debole.