Politica

Rubli e dollari

Gianni Cervetti, a lungo esponente di spicco del Partito Comunista Italiano e suo amministratore, scrisse che i finanziamenti sovietici al PCI erano continuati fino al 1978, poi si erano interrotti (“L’oro di Mosca”).

Il che dice, per testimonianza diretta ed in nessun modo smentibile che, almeno fino al 1978 i comunisti italiani ebbero soldi dai comunisti russi, pur negando questo fatto e, quindi, mentendo. Il che dice che, almeno fino al 1978, il più grande partito comunista dell’occidente, quello italiano, dipese dai finanziamenti elargiti dal nemico politico, strategico e militare dell’Italia.

Già questo non sarebbe affatto poco, ma non è tutto. Cervetti, che scrisse queste cose nel 1993, o mentiva o non era stato messo al corrente (il che è poco probabile) degli effettivi movimenti di capitali che dipartivano dall’Unione Sovietica verso i partiti comunisti occidentali, e che vedevano nel PCI il partito più massicciamente finanziato. Quei movimenti, difatti, non s’interruppero affatto nel 1978, ma durarono fino alla fine del PCUS, ed almeno fino al 1991.

Esatto, avete letto bene, almeno fino al 1991. Si pensi che nel 1992 cominciò l’opera di demolizione, per via giudiziaria, del mondo politico democratico, accusato di avere finanziato illecitamente i propri partiti democratici.

Ma, nel peggiore dei casi (e niente affatto il più diffuso), quegli illeciti finanziamenti erano sporchi di tangenti. Nessuno, invece, mosse un dito nei confronti di quel PCI che, in quello stesso momento, si finanziava con soldi sporchi di sangue. Ci sono fatti e documenti che depongono in tal senso, vediamone alcuni.

Sergej Aristov è un magistrato russo, che da anni indaga sui tesori nascosti del PCUS, e sulla rete di complicità che hanno consentito di far uscire dall’Unione Sovietica una montagna di quattrini (nel mentre il popolo russo pativa la fame). Aristov, fra l’altro, avrebbe dovuto incontrare Giovanni Falcone, cui aveva chiesto assistenza per indagare sul versante italiano.

L’autobomba di Capaci impedì per sempre quest’incontro. Aristov, dunque, ha da tempo appurato che i capitali venivano movimentati grazie ad una fitta rete di società di comodo, fra le quali figura l’italiana Interexpo. La Interexpo non è certo l’unica società italiana, ma è quella cui era stato consentito di intermediare la vendita di petrolio sovietico in Italia. Le cose funzionavano così: l’acquirente negoziava direttamente con il venditore il prezzo e la quantità di petrolio che intendeva comperare, così come la modalità di consegna e quelle di pagamento; poi, al momento di stendere il contratto compariva una percentuale da versarsi ad uno sconosciuto intermediatore che, per la verità, non aveva intermediato un bel niente. L’acquirente non si stupiva affatto, ben comprendendo che quello era solo un sistema, messo a punto dal venditore, per far defluire capitali dove più faceva comodo. Così il contratto veniva firmato.

Non paghi del guadagno così realizzato, ai signori dell’italiana Interexpo era stato addirittura concesso, proprio negli ultimi anni di vita del PCUS e, quindi, alla fine degli anni ottanta e primi anni novanta, di pagare posticipatamente il fornitore sovietico di petrolio. E queste sono parole di Aristov: “Questa proroga da sola aveva permesso alla società italiana di ricevere, in eccedenza di guadagno, ben 4 milioni di dollari che sono stati successivamente messi a disposizione del Partito Comunista Italiano”.

Ora, se i passaggi di denaro diretti dal Pcus al PCI sono stati in qualche modo documentati e resocontati, e non certo grazie agli archivi (distrutti o nascosti) dei comunisti italiani, bensì grazie a quelli sovietici, è difficilissimo stabilire quanto denaro sia affluito alle casse del partito grazie alla rete dei mediatori commerciali (fu Lenin, nel lanciare la Nep, ad elaborare lo slogan “imparare a fare il commercio”, altrove, invece, si dedicò alle istruzioni per costruire i lager). Diciamo che si può considerare prudente la stima fatta da Valerio Riva: 1000 miliardi nel dopoguerra (“Oro da Mosca”).

Inutile dire che Aristov ha regolarmente chiesto la collaborazione delle autorità giudiziarie italiane per condurre le indagini, e per ottenere che si facessero accertamenti sulle società legate al PCI. Così come il lettore non si stupirà nell’apprendere che non ha praticamente ottenuto risposta.

Lo ricordiamo, quindi, a quanti si riempiono la bocca con la collaborazione giudiziaria internazionale, a quanti si sentono feriti se le rogatorie dalla Svizzera non arrivano entro un paio di giorni. Ecco, in questo caso era la magistratura italiana a dovere collaborare alle indagini di un collega russo, e non si è mossa una foglia. I cittadini italiani, del resto, ben sanno che i magistrati del loro paese hanno più volte dichiarato, a reti unificate e con comunicati riprodotti fedelmente, ed ossequiosamente, da tutti i giornali, che i comunisti italiani non hanno commesso reati relativi al loro finanziamento. E tanto deve bastare.

Sui finanziamenti di cui qui parliamo, nel 1990, un fascicolo venne aperto dal sostituto procuratore romano Luigi De Ficchy, prontamente trasferito all’Antimafia, che fu poi archiviato nel 1992. Un’altra inchiesta è stata avviata nel 1994, sempre a Roma, dal magistrato Maria Monteleone, ma anche in questo caso il tutto è finito nelle amorevoli braccia dell’archiviazione.

Il lettore noterà che di questi due magistrati essi ignorano attitudini letterarie od equestri, hobbies ed atti eroici, insomma non hanno conquistato la ribalta ed il pubblico incenso, come è capitato ai loro più fortunati colleghi, destinatari d’inchieste su criminali di ben altra stazza e sociale pericolosità.

Aristov, comunque, andò avanti ed appurò che la sottrazione di ricchezze all’Unione Sovietica, ed ai suoi cittadini, a favore dei partiti comunisti d’occidente, utilizzava anche altri canali, fra cui un Fondo per l’assistenza alle organizzazioni operaie di sinistra, e scoprì che ancora a partire dal 1980, anche con la firma di Gorbacev, si autorizzava un’invio all’estero di 117 milioni di dollari. Fra i destinatari i soliti comunisti italiani. E questo a partire dal 1980. Il signor Cervetti aveva scritto che tutto era finito nel 1978 (e, come si diceva all’inizio, già questo non è che non sia grave).

E’ stato anche rinvenuto, negli archivi del PCUS, un documento datato 17 gennaio 1989, classificato come “rigorosamente segreto”, e destinato a Vladimir Chruscev, che fino al 1991 fu il capo del KGB, e tale documento è intitolato: “Aiuti finanziari supplementari per il PCI”.

Quindi, nel 1989 i finanziamenti sovietici ai comunisti italiani (segretario Achille Occhetto, vicesegretario Massimo D’Alema, direttore de l’Unità Walter Veltroni) avevano ancora una loro costanza e regolarità, al punto da istruirsi una pratica per chiedere un supplemento. Ma chi ha chiesto quel supplemento? Dice il documento “richiesta pervenuta dalla Direzione del PCI, che aveva chiesto un aiuto finanziario supplementare di settecentomila dollari USA per l’anno 1989, destinati a saldare i debiti delle società commerciali controllate dal PCI”. Nel 1989 ancora chiedevano soldi, supplementari per giunta. E nel 1989 i sovietici, fra di loro, in modo ufficiale, parlavano delle “società commerciali controllate dal PCI”.

Questi documenti girano dal 1994, come ricordano Maurizio Tortorella e Francesco Bigazzi in un loro saggio (Bertelli Bigazzi “PCI, la storia dimenticata”, Mondadori), ma nessuno ha mai smentito, nessuno ha mai detto no, non è vero. Lasciamo stare, poi, cosa accadrebbe se si trovasse un qualche documento comprovante una richiesta di denaro proveniente da un qualche partito politico democratico italiano e destinato, che so, alla CIA. Verrebbe giù il mondo, non ci sarebbe giornale o televisione che non ne parlerebbe per pagine e pagine, ore ed ore. S’invocherebbe il tradimento della patria. Eppure i documenti ci sono, solo che testimoniano i rapporti dei comunisti italiani, fino a pochi giorni fa, con il PCUS ed il KGB, vale adire con i nemici della nostra democrazia.

Attenzione, perché il tema è di assoluta attualità, ammesso che non si voglia giudicare attuale quel che avveniva appena dieci anni fa. E l’attualità consiste nella ricerca che il magistrato russo sta compiendo delle altre, grandi ricchezze che sono state esportate e nascoste. I due temi, quello del finanziamento dei partiti comunisti occidentali e quello dell’occultamento di ingenti ricchezze, si legano perché in tutti e due i casi potrebbe essere stata utilizzata la stessa rete di società.

Se così non fosse come si spiega che, il 19 febbraio 1991, Vladimir Vlasov, capo della commissione socioeconomica del PCUS si rivolge a Ivan Ivasko, vicesegratario generale dello stesso partito, facendogli il seguente, drammatico quadro: “Al momento sono praticamente esaurite le risorse valutarie dell’URSS, a causa dei nostri impegni di pagamento per l’estinzione del debito estero del Paese e per i massicci acquisti all’estero di generi alimentari, beni di consumo e materie prime, accompagnati da una riduzione delle esportazioni”, ma nel mentre comunica che si avvicina la bancarotta Vlasov ci tiene a precisare che “i debiti scaduti nei confronti delle società dei partiti fratelli non sembrano tanti: circa 60,4 milioni di rubli in tutto”. Non è, evidentemente, il problema più urgente, oltre tutto si tratta di società che hanno già abbondantemente lucrato grazie ai favoritismi dei comunisti sovietici, si potrebbe anche mandarli a quel paese visto che ai cittadini russi comincia a mancare da mangiare. Ma Vlasov è di avviso opposto, ed avverte che “una soluzione urgente della questione delle società amiche si impone: la loro bancarotta comprometterebbe il meccanismo di finanziamento degli stessi partiti amici e ne metterebbe a repentaglio l’esistenza”.

Insomma, il PCUS si trova ad un passo dalla sua fine, i sovietici non hanno più valuta estera, ma ancora si preoccupano delle società amiche e dei partiti fratelli. Tanto internazionalismo meriterebbe un’indagine approfondita, e forse era quella che sarebbe stata chiesta a Giovanni Falcone. L’indagine, infine, si impone per il modo in cui Vlasov conclude il suo argomentare: “Sono stati sottoscritti con Giappone, Francia, Italia, Austria, Gran Bretagna e Grecia una serie di accordi intergovernativi, o sono state raggiunte intese sulla concessione all’URSS di crediti finalizzati all’estinzione di debiti scaduti per una somma di 1 miliardo e 211 milioni di rubli. Nei Paesi di cui sopra figurano le società dei nostri amici: così si ha la possibilità di estinguere i nostri debiti”. Dal che si deduce che mentre le democrazie occidentali accendevano linee di credito per soccorrere un popolo affamato, i dirigenti di quel popolo utilizzavano i soldi per finanziare i comunisti operanti in seno a quelle democrazie, e per creare fondi a propria esclusiva disposizione. E non vi pare un tema sul quale indagare?

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