San Giuliano è il centro di un lutto che ha unito l’Italia. Al tempo stesso è solo un episodio di una lunga storia di trascuratezza e degrado idrogeologico, in un paese dove le piogge allagano le città e provocano frane sulle autostrade.
Le piogge. Che, per quanto intense, non son certo paragonabili ai terremoti, anche questi, purtroppo, non inattesi.
San Giuliano, sarà il teatro di una sfida che altrove ancora si trascina, che si spera di poter vincere in fretta, ma che in passato è divenuta tipica del transitorio permanente: la ricostruzione. Sarebbe bello che questo piccolo paese, colpito dalla tragedia, divenga un punto di ripartenza, un dolore capace di indurre tutti a riflettere sulle nostre sorti collettive.
Non basta l’intonaco nuovo, non basta una mano di vernice a dar sicurezza. Il nostro è un paese in cui le opere di ristrutturazione si lasciano incompiute, in cui l’edificio pubblico si dice rinnovato senza che ne siano state rivisitate le strutture portanti. In quella scuola maledetta il tetto era nuovo, a stare a quel che leggiamo, ma non le mura che lo reggevano; un po’ come questa presunta Seconda Repubblica, che sarebbe nuova rispetto alla prima per la modifica del solo sistema elettorale, il quale, per giunta, non è neanche quello che ci si vorrebbe raccontare: maggioritario e bipolare, bensì solo il frutto della demolizione del proporzionale, più una mano di vernice. Si deve, per forza, attendere l’implosione strutturale per dire quel che tutti gli occhi vedono?
Nei sistemi maggioritari che funzionano le forze politiche corrono al centro, mirano a far proposte che parlino alla maggioranza dell’elettorato, da noi, al contrario, sono premiate e condizionanti le ali, talché ancora si sente parlare di secessione o di nazionalizzazioni, roba di due secoli fa. Nei sistemi maggioritari i governi sono di legislatura, da noi si parla di crisi di governo dopo pochi mesi, ed al massimo entro un anno il presidente del consiglio è costretto a dichiarazioni pubbliche che neghino la crisi o la necessità di rimpasti. Abbiamo cambiato la struttura elettorale ed istituzionale degli enti locali, ma non abbiamo ridisegnato un contesto costituzionalmente coerente di convivenza e coordinamento con i poteri centrali: si cammina verso l’integrazione europea, ma non funziona il meccanismo dei rapporti istituzionali interni, talché, forse, qualcuno spera che l’allargamento dell’Unione aumenti gli entusiasmi e diminuisca il ritmo della marcia.
No, per ricostruire San Giuliano non serve un governo d’unità nazionale, né serve per dare, finalmente, governo al territorio che frana e trema. Ma per dare ragionevole certezza alle basi sulle quali reggere il governo del paese serve un serio ripensamento della politica, una nuova e condivisa idea dell’Italia. La prima infrastruttura di cui un paese ha bisogno, lo scheletro che regge ogni altra iniziativa, è quella istituzionale. Noi, invece, sembriamo volere costruire il nuovo sulla vecchia ossatura, anzi, neanche ce ne curiamo, facciamo finta di credere che quei pilastri siano in grado di reggere, facciamo finta di non vedere che sono stati colpiti al piede, grattati nel corpo, minati alla cima. Niente, ci mettiamo sopra un bel tetto e convochiamo la festa per inaugurare il nuovo. Ma non è la sorte a trasformare, qualche volta, la festa in funerale, è la miopia, la superficialità, un’intollerabile approssimazione.
San Giuliano, se non si saprà mettere mano allo scheletro della Repubblica, sarà la metafora del nostro vivere collettivo: inchieste penali senza fine che scandagliano il passato ed assolvono il presente; grande volontà di fare che s’impantana nelle procedure ed esaurisce presto le mal utilizzate risorse; un futuro lasciato al fato, magari arricchito di genialità, ma gravemente impoverito dall’abbandono; lagrime, rabbia, ed invocazione di uno Stato tanto onnipotente quanto immaginifico ed assente.
Se vuol difendere i più giovani, se non vuole solo amministrare l’edificio dei garantiti e dei tutelati, la politica trovi la sede e la modalità per tornare a pensare al futuro. Un futuro che non sia la maceria del presente, ma una Repubblica, la terza, forse, che sia il contenitore dei normali conflitti politici ed elettorali, degli interessi e delle opinioni contrapposte, ma tutti ricompresi in un’identità altrimenti smarrita.