C’è un filo che lega le imminenti elezioni francesi, il vento che gonfia le vele di diverse destre e i ballottaggi italiani. Un filo lungo il quale è sballottata la democrazia, posto che è nella sua natura vivere da sballottata. I regimi che non sobbollono al calore dei mutevoli umori dell’opinione pubblica non sono più stabili: sono soltanto immobili e destinati a crollare. Meritandosi il franare.
Macron ha fatto bene a convocare le elezioni anticipate: l’Assemblea già non aveva una maggioranza capace di andare avanti e il voto europeo ne ha mostrato tutta la fragilità. Tirare avanti avrebbe rafforzato, a destra come a sinistra, le formazioni anti sistema. Chiamare alle urne significa anche ricordare ai cittadini che la sorte è nelle loro mani. E se il responso delle urne mettesse in pericolo la democrazia? Ma se in una democrazia crescono forze antidemocratiche il problema non è quello di rinviare la resa dei conti, bensì di lavorare sulle cause di ciò. Il nostro mondo ama la libertà e se qualcuno corre appresso a degli estremisti è perché promettono maggiori libertà e sicurezza. Vanno affrontati e sbugiardati su quel terreno, non ignorati. E si deve imparare che se si continua a gridare al lupo nessuno crede più al lupo.
Sono lupi, quelli delle destre europee? Intanto sono diversi e pronti ad azzannarsi a vicenda, come capitò alle sinistre. Tranne qualche coreografico invasato condividono, essendo in minoranza, il metodo democratico. Lo condivideranno anche nel caso divenissero maggioranza? L’ottimo professor Giovanni Orsina scrive che queste destre sono illiberali, ma democratiche. C’è un equivoco, perché è impossibile. La democrazia non è votocrazia, tanto più che si vota anche in Russia, dove non c’è certo democrazia. La democrazia è il voto libero dentro uno Stato di diritto e nel rispetto del ruolo delle minoranze. L’insieme si chiama “liberaldemocrazia”: funziona benone anche quando a prevalere sono destre conservatrici o sinistre riformiste ed è talmente vincente – come modello – che anche le dittature lo imitano. Il tratto inquietante, non tanto delle destre quanto dei populismi, è il confondere la sovranità popolare con l’idea che la maggioranza elettorale possa essere un sovrano assoluto. Tema già sviscerato in passato, ma che l’ignoranza ci riconsegna come fosse nuovo di pacca.
Tutti quelli che vincono le elezioni sperano di vincerle in eterno e lavorano perché il consenso non sfugga loro. Sono pericolosi quelli che perseguono questo sogno provando a inceppare i meccanismi dello Stato di diritto: dall’indipendenza dei giudici (giudici, non procuratori) all’occupazione delle Corti costituzionali passando per la demonizzazione delle minoranze. Per avversarli non vanno però scomunicati, in questo modo alimentando la loro propaganda vittimista e falsamente democratica: vanno sfidati sul terreno degli interessi e delle idealità.
Certo, ci sono i sistemi elettorali. Il che ci porta al piccolo ballottaggio italiano. Buon lavoro ai sindaci eletti, ma buona riflessione al presidente del Senato La Russa, che se la prende con i ballottaggi perché a questo giro li ha vinti la sinistra: sbaglia, e manco di poco. La percentuale dei votanti è stata più o meno quella delle europee, sicché non è il sistema in sé ad allontanare. Ma la cosa più importante è: se punti a eleggere direttamente qualcuno (in questo caso il sindaco) usi il ballottaggio in modo da consegnargli una maggioranza; altrimenti eleggi i rappresentanti popolari (parlamentari o consiglieri) che poi eleggono il governante. Il passaggio è rilevante e attenua, se non proprio evita, l’impressione che a governare siano solo le minoranze. Ricordo che FdI e Pd, sommati assieme, fanno il 26% del corpo elettorale. Sommati. Alla faccia del bipolarismo.
La Russa si procuri una sinossi delle democrazie europee (e non solo) e scoprirà di non averci pensato abbastanza o di avere pensato la cosa più efficace per affondare il premierato con elezione diretta, sconosciuto nel mondo democratico.
Davide Giacalone, La Ragione 26 giugno 2024