Un branco di sbandati, alla ricerca di quel che credono essere il consenso. Questo sembra il mondo politico italiano. Neanche ha imparato che chi governa per vincere le elezioni regolarmente le perde. Ed è anche giusto che sia così. Non si riece a misurare la lucidità e il coraggio nel difendere le idee, perché scarseggiano. Manca la materia prima. Sicché, pur d’esistere e galleggiare, s’alimenta il vociare delle tifoserie.
Cosa c’è di più semplice, e di più sciocco, che dividersi fra nuclearisti e antinuclearisti? Serve a nascondere la realtà: è impossibile vivere in un mondo denuclearizzato, perché non esiste più. Siamo gli unici, nel G8, a non usare questa fonte, e siamo circondati. Dal punto di vista della sicurezza sarebbe meglio costruire centrali nostre, in modo da avere voce in capitolo nel controllo di quelle altrui. Ma c’è anche l’altra realtà: mica si può essere nuclearisti per partito preso, per amore della fissione, si deve stare attenti anche ai costi e alle condizioni. Per mettere in opera una centrale atomica ci vogliono 15 anni e tanti soldi. Se li mette lo Stato poi si crea un conflitto d’interesse sui controlli. Se li mettono i privati occorre stabilità d’intenti e tariffe. Nell’Italia in cui la gente cambia opinione con il mutare delle stagioni, in cui le tariffe oscillano a capocchia, in cui ci si mettono cinque anni per non decidere, le centrali nucleari non si faranno mai. E’ una discussione oziosa.
Nel 1987 non si fece una seria campagna nuclearista, per viltà. Certo, cerano i soldi dei petrolieri, ma si sarebbe potuta parlare la lingua della ragione. Invece un altro mondo politico, non meno furbastro e pecorone, s’accodò alla moda verde e all’ebete sole che ride. Così fecero carriera i verdi di varie colorazioni, mentre noi c’impoverivamo. Ora siano daccapo: un referendum incombe e il governo se la fa sotto, indietreggia, tentenna. Pensano che gli italiani siano preda delle emozioni, invece sono loro ad essere incapaci di reazioni. Se non si sbrigano a sparecchiare il tema nucleare saranno irradiati anche gli altri due referendum.
Come il verdismo rovinò l’Italia d’allora il federalismo sfianca quella d’oggi. Sono tutti federalisti. Anzi, la riforma federalista della Costituzione l’ha fatta la sinistra, che il cielo non li perdoni. Poi guardi dentro questa roba e capisci che, in italiano, si chiama in un altro modo: autonomie locali. Il federalismo (che è cosa seria e nobile, e ci vorrebbe in Europa) c’entra come i cavoli a merenda. Ma non si può dire, perché la propaganda vuole che siano quasi tutti contro la Lega, brutta, sporca e cattiva, ma tutti federalisti. Casa di cui non s’erano accorti fin quando la Lega non ha posto il problema dell’unità territoriale.
Financo sulle quote rosa si riesce a rompere il muro del ridicolo: anziché lavorare sulle infrastrutture che aiutino le famiglie, sia con i piccoli che con gli anziani (e, nel tempo, saranno questi ultimi il problema maggiore), così liberando forza lavoro da obblighi scarsamente produttivi (di denaro, perché le soddisfazioni sono altra cosa), si fa finta di credere che le donne non facciano carriera perché gli italiani sono sessisti. Infatti, questo popolo di discriminatori per sesso si ritroverà insegnanti e magistrati solo donne. Come si spiega? Accade perché il problema è un altro: se si esce dalle carriere burocratiche s’impatta un mercato viscoso e opaco, dove il merito conta poco, talché vanno avanti i protetti e non i più capaci. E i maschi sono più protetti, vuoi per tradizione, vuoi per potere pregresso o per paura di cambiare. Ma invece di ragionare si votano le quote rosa, si strizza l’occhio alle donne (che non ne usufruiranno mai, e, ripeto: mai), confermandosi branco d’incapaci.
Ecco, questo è il Paese senza classe dirigente. E parlo di politica come di cultura o economia. Senza persone capaci di assumere il peso d’opinioni che non siano il più bieco e stolto conformismo.