Sembra il gioco della sedia: si corre attorno a un numero limitato di seggiole e quando si ferma la musica ci s’affretta a poggiarvi le terga, talché chi resta in piedi è eliminato. Non importa quale posto si occupa, l’importante è averne uno. Si gioca in tutto il mondo, ma nella sua versione politica sembra più appropriato il modo in cui lo chiamano i giapponesi: gioco della sedia rubata. Non mi riferisco al contendersi quelle che il qualunquismo chiama “poltrone”, ma alla tecnica con cui si pratica il trasformismo provando a negarlo.
Il governo Meloni usa toni trionfalistici per annunciare e festeggiare l’arrivo della quarta rata dei contributi europei legati al Pnrr. Trionfalismo a parte, fa bene a essere soddisfatto, visto che la liquidazione attesta che – almeno fin qui – regole e tempi sono stati rispettati. Nell’entusiasmo ribadisce anche che il rapporto con la Commissione europea è eccellente (con tanti saluti a chi paventava catastrofi) e che i soldi saranno usati fino all’ultimo centesimo, non sono ‘troppi’ e anzi ce ne sono di più. Prima della quarta rata già esultavano perché le proposte di modifica, fatte dall’Italia e riferite al Pnrr, erano state accettate. Bene anche questo. Ma…
Sono stati cambiati i programmi d’investimento di molti Paesi europei e tutti con particolare riferimento alle fonti rinnovabili d’energia. Per il resto l’impianto del Pnrr è rimasto coerente e questo offre una grande opportunità: chi ieri lo approvò – e, fra questi, chi oggi si trova all’opposizione – ha margini ristretti di dissenso, può criticare le modalità con cui si procede ma dovrebbe anche cogliere l’occasione di un progetto condiviso; mentre chi ieri non lo condivise – ovvero chi oggi ha la presidenza del Consiglio – si trova a gestire un piano che considera (parole loro) strategico per ammodernare l’Italia. E c’è dell’altro.
Chi ieri criticava, ovvero la destra che ha poi vinto le elezioni, chi guardava con sospetto ai fondi europei – inevitabilmente e giustamente accompagnati dai vincoli sia per la loro spesa che per la loro creazione, quindi le regole di bilancio – ora ne decanta l’utilità ed è orgoglioso di amministrarli, naturalmente con quel che ne segue e nello spirito della maggiore integrazione europea. Un’evoluzione positiva. Chi ieri accusava gli odierni governanti di volere danneggiare l’Italia rompendo i legami europei di solidarietà e compartecipazione finanziaria, oggi potrebbe rivendicare di avere avuto ragione. E invece, roba da non crederci, nel gioco della sedia prende il posto di chi ieri avversava.
Non ha senso che il Partito democratico critichi la fine del mercato elettrico protetto, posto che non era protetto da un bel niente, che gli utenti già passati al mercato libero – la maggioranza – hanno risparmiato soldi e che quello è un impegno maturato quando il Pd era al governo. Ora la destra che criticava quell’impegno si ritrova a rispettarlo e chi lo condivideva lo critica, attribuendone la colpa a chi era contrario. Non è minimamente serio. Questo è trasformismo a tre palle un soldo. Almeno comprino un libro di storia e studino Crispi e Depretis, o si riciclino in più lussuriosi scambisti.
Il problema non è soltanto a sinistra, con la sua involuzione, ma anche a destra, con la sua evoluzione. Perché se la si nasconde poi capita che la Lega organizzi a Firenze l’incontro degli antieuropeisti reazionari, che avranno modo – tutti assieme – di usare le parole che ieri usava anche Meloni. Il che le creerà dei problemi.
Se non si vuole essere irresponsabili, le involuzioni si additano e condannano senza avere scrupoli di schieramento. Le evoluzioni, però, non solo si festeggiano ma anche si ammettono. Che se uno ripete la filastrocca secondo cui “sono coerente e dico oggi le cose che dicevo ieri”, poi tutto si riduce a essere lesti – quando si ferma la musica – a non ritrovarsi con le chiappe a terra. Con l’aggiunta che il gioco pare divertire chi vi partecipa, ma è noiosissimo per chi osserva il suo monotono protrarsi.
Davide Giacalone, La Ragione 30 novembre 2023