Nel dirla a Zelenskyj gli è e si è molto piaciuto, sicché l’ha ripetuta: «Tu non hai le carte». Frase facile e ideale per i social: le carte le ho io. Il guaio di Trump è che, a forza di ripeterla, se la cuce addosso come una specie di destino: non avere le carte.
Partiamo dalla guerra scatenata da Putin. Non ha torto Trump quando esclude che si possa fare una mediazione dando all’inizio del criminale a uno dei belligeranti. Vero, ma lui ha dato del ridicolo e ha umiliato l’aggredito. In quanto all’aggressore – che tale è per chiunque non abbia perso il lume della ragione assieme al senso del ridicolo – gli ha dato ragione in tutti i modi, ha detto di fidarsi di lui e lo ha descritto come generoso. Poi c’è la realtà: dalla Cina fanno sapere che nulla potrà modificare il rapporto di amicizia con la Russia e Putin fa osservare che il negoziato per la pace sarà lungo e difficile. Avendogli già dato tutte le ragioni, chissà cos’altro dovrà dargli Trump. Il quale non è affatto un mediatore, a quel tavolo, ma un giocatore che ha scelto di parteggiare per Putin. Ma le carte scarseggiano e quelle che mancano si trovano a Pechino.
L’obiettivo era quello di disaggregare l’Unione Europea, anche in questo andando incontro ai desideri di Putin, aggiungendo palle storiche che solo nel mondo dell’ignoranza digitalizzata possono rimbalzare. Però non soltanto noi europei non siamo mai stati così uniti, non soltanto siamo riusciti a metter in minoranza il suo (e di Putin) uomo nel Continente (Orbán) e spiegargli che il diritto di veto è inutilizzabile, ma si è riavvicinato anche il Regno Unito, con Starmer che ancora ieri (dopo l’espulsione di due suoi diplomatici dalla Russia) ha convocato un vertice dei “volenterosi”. Le carte sono capricciose, ma quelle che Trump ha fin qui pescato, in questa partita, non sono così fortunate.
Un giocatore di poker non dotatissimo punta sulla forza del proprio capitale: se è molto più alto di quelli altrui può pure perdere, ma raddoppiando costantemente la posta potrà trionfare. O rovinarsi. Sui dazi, però, un giorno annuncia di giocarsi tutto e il giorno appresso che forse non ha neanche l’apertura. Ha fatto salire il consenso in capo ai governanti dei daziati e non ha ottenuto alcun cedimento. Se questo è il grande negoziatore è segno che il colpo di scena deve ancora arrivare. Nel frattempo la detestata Ue, che sarebbe già dovuta soccombere, fa sapere di avere abbastanza capitali per vedere il rilancio. Solo che, al momento, Trump sembra non avere le carte per spingersi oltre.
Una pletora di economisti, di scuole lontane e opposte, ha fatto osservare che quella politica dei dazi avrebbe fatto male agli Stati Uniti, spinto l’inflazione e indotto recessione. Trump non si è limitato a non dare loro ascolto, è riuscito a far sì che i fatti dessero loro ragione senza nemmeno praticare veramente i dazi, limitandosi a farne la sceneggiata ovale. Quando la Federal Reserve ha reso note le previsioni di recessione la reazione è stata quella di contestare i tassi d’interesse alti e attendere una decisione giurisprudenziale per cercare di cacciare il presidente, Jerome Powell. Non è escluso che ci riesca, ma nel frattempo ha dovuto ammettere che, sebbene in via transitoria, la recessione potrebbe effettivamente esserci. Dopo avere contestato a Biden – con l’economia in crescita, la Borsa che saliva, la disoccupazione bassa e l’inflazione dov’è ancora o anche minore – la rovina dell’America. Qui le carte sembra averle, ma brutte.
A Gaza non è che non si vedano le spiagge gremite, è che il massacro continua e non c’è un solo Paese arabo che si sia detto disponibile ad assecondare il piano di Trump. In questo caso la partita sotto l’ombrellone è almeno rimandata.
Non c’è nulla di buono in quanto fin qui scritto. L’idea che tutto sia tifoseria è trumpiana nonché stupida. Che la guida della più potente democrazia sia in mano a chi sembra non avere carte serie in mano è una brutta cosa. Si finisce tutti scartati. Ma così sembra e il gioco di prima non tornerà.
Davide Giacalone, La Ragione 11 marzo 2024