Alla Rai sono disperati. Dal secolo scorso sono abituati a prosperare grazie all’appoggio della sinistra ideologica e della sinistra democristiana. La prima interessata all’uso politico della comunicazione commerciale, la seconda all’uso clientelare del mammellone pubblico. Dal secolo scorso sono adusi a incassare incarnando l’avversione al mercato. Ora s’accorgono che quel mondo è archeologia. Governi di altro colore politico, che avessero ipotizzato di togliere soldi alla curtura telebaracconica, avrebbero dovuto fare i conti non solo con scioperi immediati, senza discussione alcuna, ma con lacrimanti appelli d’intellettuali in attesa d’invito. Ma scioperare contro il governo Renzi è un suicidio, perché equivale a volere prevaricare il padrone (l’azionista) e zittire il protettore (il partitone usigraizzato). Così ne discutono. Per non mettersi in discussione.
Nel campo renziano, del resto, si scorge una certa confusione. Alla Leopolda proposero di dividere il servizio pubblico dalle reti Rai commerciali (e ti voglio vedere a discernere), finanziando il primo con il canone e le seconde con la pubblicità. Messa così, la Rai è finita. Giunti al governo, però, sono stati colti da due idee brillanti: la prima (made in Del Rio) consiste nel far pagare il canone con la bolletta elettrica; la seconda (made in Giacomelli, sottosegretario alle comunicazioni) nel farlo pagare “a consumo”. La prima cosa è dissennata, perché la bolletta elettrica, a giorni alterni, la si fa scendere o salire con il canone; l’energia è fornita in regime di concorrenza, sicché accertamenti e addebiti non avrebbero un’unica centrale e una società elettrica dovrebbe rinunciare a fatturare in ragione del fatto che il cliente è considerato evasore di una roba che la riguarda; il canone è dovuto una sola volta per diverse abitazioni, mentre l’energia elettrica si paga per ciascuna di quelle. Buona notte. La seconda era avvincente: si paga in ragione dei consumi televisivi? Nel qual caso la Rai, unica beneficiaria del canone, avrebbe visto sparire il pubblico. Ma no, sciocchini: flessibile in ragione dei consumi generali. Quindi il canone diventerebbe una patrimoniale proporzionale e crescente. Fermateli.
Il tutto retto dal raggiro dei numeri, perché i raiofili dicono: l’Italia ha il canone televisivo più basso d’Europa. Balle, perché l’Italia è il solo Paese in cui la televisione pubblica è finanziata per metà dal canone e per metà da rendita pubblicitaria (con il risultato di abbattere il valore della pubblicità stessa). Quindi la Rai è la più finanziata d’Europa. Peccato che, come gli obesi bulimici, ha sempre fame.
Nella vulgata giornalistica si legge: il governo chiede alla Rai 150 milioni. Non è così: il governo gira alla Rai l’intero introito di un prelievo fiscale, sicché ha deciso di trattenere 150 milioni. Il cavallo di viale Mazzini nitrisce di dolore e furore: e noi, come facciamo? Figliuoli: risparmiate. Così come sono non ci riescono, quindi devono cambiare. Perché i soldi degli italiani devono andare a finanziare programmi comprati all’esterno, il cui valore di servizio pubblico consiste nel cantare o nell’indovinare pacchi? Per divertire il popolo? Si diverte altrove e si diverte di più tenendosi i soldi. Perché si consente di dire che ci sono programmi giornalistici capaci di autofinanziarsi, dimenticando di aggiungere che per metà sono pagati (contro voglia) dai contribuenti? Morale: fra due anni scade la concessione, il governa prenda quel che deve e si prepari a ridiscutere il senso stesso del servizio pubblico.
Una rete senza pubblicità ci può stare, destinata al pluralismo delle voci (sono i programmi che guarda nessuno). Non ne sento il bisogno, ma non ne avverto l’orrore. Il resto è commerciale, sicché lo pago se m’aggrada, altrimenti m’astengo. Intanto s’impedisca alla società statale di fare false privatizzazioni, come quella che hanno in mente per RaiWay (società degli impianti), che sono dilapidazioni patrimoniali destinate a foraggiare sprechi. Al mercato deve andare quel che nel mercato riesce meglio, compreso il divertimento. Ed è nel mercato che si devono trovare nuovi modelli di business, che oggi prevedono maggiore integrazione fra chi produce contenuti e chi opera nelle telecomunicazioni. Mentre oggi la Rai va in direzione opposta, ancora bruciando ricchezza. Piuttosto si pensi al prodotto televisivo italiano all’estero, che è vergognosamente dequalificato.
E lo sciopero? Se riusciranno a capire che sarà il prepotente desiderio di non cambiare nulla e continuare a ciucciar quattrini, con dirigenze aziendali patetiche, non lo faranno. Si fermeranno. E se non si fermeranno, sarà un modo per contribuire a sbaraccare quel che non sta in piedi.
Pubblicato da Libero