Politica

Sciopero e governo tecnico

Si può non concordare, ma la decisione di convocare uno sciopero generale, presa dalla Cgil, è legittima. Invece che lanciare oziosi appelli all’unità e alla responsabilità, molti protagonisti farebbero bene a riflettere. Anche valutando la propria superficialità. E farebbero bene a cogliere il nesso fra quella decisione e la marcia verso il governo tecnico, che dalle parole presidenziali di Rimini ha ricevuto un poderoso incoraggiamento.

Un mese fa furono in molti a leggere speranzosi il documento sottoscritto da sindacati, imprenditori e banche. Tante erano le firme da sembrare una petizione, in quel caso salutata come dimostrazione di spirito nazionale e senso di responsabilità. La pensavo diversamente, osservando che in quel documento molte erano le firme, ma scarsi i contenuti. Infatti, oggi si scornano fra firmatari e la Fiom, per bocca di Maurizio Landini, fa sapere che lo sciopero è politico e indirizzato contro gli altri “soggetti sociali”. Il che, si badi bene, non è un sacrilegio contro l’unità sindacale, o, almeno, non può essere considerato tale da chi non riconosce sacralità a quel falso mito.

La mia obiezione alla Cgil è diversa: contro cosa scioperano, se ancora non si sa quali misure saranno contenute in una manovra di cui tutti parlano per aggiungere o togliere e nessuno per confermare? Posto che lo scarafone non piace manco a mamma sua, a che pro scioperare per ribadirne la conclamata bruttezza? A suo modo, però, quella decisione torna utile.

Dopo il discorso di Napolitano, davanti alla platea di Comunione e Liberazione, dopo quegli accenti non certo ispirati all’istituzionalità bipartisan, ma all’invettiva antipartisan, sembrava quasi che ci fosse un’Italia unita e consapevole, seduta nelle prime file e pronta a far fronte alla crisi, impedita da un mondo politico incapace di condividerne i sentimenti di realismo e disponibilità. Tanto che il povero Pier Luigi Bersani ha dovuto affrettarsi a precisare che se l’opposizione s’oppone non lo fa certo per dispetto al Presidente della Repubblica. Ed esprimo la mia solidarietà verso lo smacchiatore di giaguari, perché la tristezza di una simile precisazione dà l’idea del punto cui siamo giunti. Invece, come si dimostra, l’idea che esista un’Italia il cui unico problema è affrancarsi dalla politica è non solo illusoria, ma anche pericolosa.

Facciamo due esempi concreti: i piccoli comuni e l’ipotesi di condono fiscale. Si potrebbero chiudere, domani mattina, non solo tutte le province, ma anche tutte le regioni, senza per questo arrecare nocumento alcuno al tessuto sociale e alla memoria storica. So che si risparmierebbe, come so che non si farà, ma so anche che province e regioni sono enti estranei alla nostra storia e alla nostra vita quotidiana. Non è così per i comuni, anche quelli piccolissimi, nei quali s’incarnano sia la storia che la vita. Il risparmio, in questi casi, non deve concentrarsi sugli organismi democratici, ma sulle società operative. Detto in modo diverso: si concentrino o chiudano le municipalizzate, restituendo forza al mercato e valorizzando le economie di scala. Chi può farla, una cosa simile? una maggioranza che è scappata davanti al referendum sull’acqua, un’opposizione che l’ha voluto, o tanti espertoni con la coscienza critica smisurata e il coraggio inesistente? Ci vogliono idee politiche e persone coerenti, per risolvere i problemi, mica appelli e tecnici.

I condoni sono uno scandalo? Sì, lo sono, ma solo se si riesce altrimenti a far pagare le tasse agli evasori. Se, invece, di questo non s’è capaci, a destra come a sinistra, non è uno scandalo se i soldi che servono li si cerca non solo nelle tasche di chi paga le tasse, ma anche in quelle di chi evita il disturbo. La questione non è la moralità o meno dei condoni, ma la loro funzionalità a una corretta politica fiscale. Ai condoni aderiscono gli evasori che temono, altrimenti, d’essere beccati. Se non si fanno riforme fiscali adeguate (annunciate dal secolo scorso) allora sono solo delle rese. Aggiungo: se le regole dei condoni vengono modificate a tempo scaduto, come taluno propone di fare per lo scudo, condonare significa autodenunciarsi, e state sicuri che, in quelle condizioni, si praticherebbe l’obbrobrio senza neanche fare cassa.

Sono solo due esempi di come non esistono soluzioni a problemi collettivi che non comportino un indirizzo politico e, pertanto, la possibilità d’opposizione. Il governo di tutti (assieme) si fa in caso di guerra e pestilenza, oppure per cambiare le regole. Il governo di nessuno (tecnico) segnala solo il divorzio fra consenso e decisioni. Diventa necessario quando la democrazia entra in coma. Lo sciopero convocato dalla Cgil, che non condivido, segnala che c’è ancora vita, su questo pianeta.

Condividi questo articolo