Politica

Scontro nel vuoto

Lo scontro fra il segretario della Cgil, Susanna Camusso, e quello del Pd, Matteo Renzi, non è sulle politiche del lavoro, ma sulle rispettive identità e influenze politiche. Il sindacato perde rappresentatività da molti anni, raccoglie l’adesione solo di una minoranza di lavoratori e ha nei pensionati la maggioranza dei propri aderenti. Non è ben messo. Il segretario del Partito democratico, dal canto suo, è arrivato a palazzo Chigi dovendo rinunciare all’investitura elettorale, quindi senza una propria maggioranza, il che lo porta a non poche contraddizioni: sul tema delle riforme costituzionali il suo lavoro si regge grazie a un accordo con l’opposizione; sul tema del lavoro ha rinviato le riforme profonde ed è costretto a porre, a distanza di pochi giorni, la fiducia su due testi diversi. Non è ben messo. La salute democratica non è splendente, posto che i vincenti si disputano non la guida della maggioranza, ma della minoranza.

La presidenza renziana si regge su due puntelli: da una parte l’accordo con Silvio Berlusconi, dall’altro con Maurizio Landini (segretario della Fiom). Quest’ultimo è il principale oppositore della Camusso, dentro la Cgil. Difficile immaginare che la signora avesse altra strada che non picchiare. Ma questa è tattica interna alla sinistra, nell’eterna riproposizione del conflitto fra quella che prova a essere governativa e quella che prova a restare sindacale. Diciamo che un italiano medio normale può anche disinteressarsene del tutto. Non altrettanto del merito, delle leggi che regolano il mondo del lavoro. Fin qui lo scontro è sulle bandiere, non sulla sostanza. Perché la sostanza non c’è.

Il decreto impostato dal ministro Giuliano Poletti, ad esempio, aveva, nella stesura originaria, la forte impronta di quel che i sindacalisti chiamano “padronato”. Lui, il ministro, del resto, è comunista dalla nascita, ma amministrando le Coop sa bene che il conto economico deve tornare ed è abituato a chiedere una sola cosa, ai lavoratori: lavorare. Però è stato cambiato. Cesare Damiano lo aveva detto chiaramente: il ministro si rassegni, lo cambieremo in modo sostanziale. E lo hanno fatto. Dopo di che il governo, alla Camera, pose la fiducia, per evitare di perdere i voti di Scelta Civica e Nuovo Centro Destra (ammesso, e molto generosamente concesso che quelle forze siano propense a privilegiare quale che sia questione di contenuto sulla permanenza in vita del governo). Al Senato il decreto è stato ricambiato, perché in commissione non c’è prevalenza di ex Cgil, come alla Camera. Ora il governo rimette la fiducia. Una specie di fiducia purché sia.

In quanto ai mitici 80 euro in busta paga, quelli non c’entrano nulla con le politiche del lavoro. Anzi, si reggono sull’idea che uno sconto fiscale (quindi un mancato introito per l’erario, quindi un provvedimento a spese della collettività, tanto che sulle coperture si fatica) serva a rilanciare o almeno reggere i consumi. Il che non ha nulla a che vedere con il guadagno di competitività, quindi con le regole del lavoro e dell’impresa. Nulla. Semmai somiglia alla logica della cassa integrazione guadagni: sostegno a chi ne ha bisogno e, al tempo stesso, sostegno ai consumi. La ricetta cui dobbiamo lo scasso dei conti pubblici. Di produttività se ne parlerà un’altra volta. E ciò a tacere dell’ideona innovativa per il pubblico impiego: prepensionamenti. Che non solo fa a cazzotti con le riforme (plurale maniacale) delle pensioni, ma è roba che Remo Gaspari considerava antiquata nel secolo scorso.

Ciò per dire che le tattiche dello scontro interno alla sinistra possono essere appassionanti solo per i cultori della materia, le idee nuove si devono ancora vedere, ma le riforme necessarie, quelle che altri europei hanno fatto (anche dolorosamente), riguadagnando competitività e, quindi, propiziando una crescita che noi non possiamo neanche sperare, ecco, quelle riforme non si vedono neanche con il binocolo. Sicché, in conclusione, lo scontro fra Camusso e Renzi è tutto condotto secondo le regole dei talk show televisivi, usando parole e concetti che parlano di vecchio e nuovo, solidarietà e mercato, conservazione e rinnovamento. Si può anche lasciarsi trascinare, salvo accorgersi, sconsolatamente, d’essere sempre al punto di partenza. Il prodotto interno lordo non cresce con i dibattiti. Difatti da noi non cresce.

Pubblicato da Libero

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