Politica

Scuola (d)istruttiva

Anteporre l’assunzione di 190mila insegnanti alla riforma della scuola fa risparmiare il tempo necessario a scriverla e approvarla, tanto è morta prima di nascere. Ancora una volta la spesa pubblica sarà indirizzata a soddisfare i bisogni di chi lavora per lo Stato anziché di quelli che ne dovrebbero ricevere il servizio. Inconciliabile il volere giudicare per merito e l’assumere ope legis. Quando si scoprirà di avere insegnanti incapaci (posto che tanti sono bravissimi) sarà istruttivamente distruttivo limitarsi a non aumentargli lo stipendio. Ammesso che ci si riesca. Comica l’iniziativa dei due mesi di ascolto, dal 15 settembre al 15 novembre, per sapere cosa ne pensano quelli che si prenderanno la briga di chattare con il governo. Sono lustri che ci ascoltiamo e governare non è sinonimo d’inseguire l’indice di gradimento. Ma dato che le critiche è bene siano sempre accompagnate da proposte alternative, e visto che chi dovrebbe decidere e indirizzare preferisce orecchiare ed essere indirizzato, non mi sottraggo. Oggi su due aspetti: il digitale e l’università. Il primo largamente frainteso, la seconda totalmente assente.

Nei documenti d’indirizzo, novella produzione in prosa che sostituisce le proposte di legge, il governo afferma due cose: a. la larga banda in tutte le scuole è la condizione per digitalizzare l’apprendimento; b. i ragazzi devono essere capaci non solo di usare le applicazioni informatiche, ma anche di crearle. Due errori.

Certo, sarebbe bello avere larga banda in tutte le scuole. Come anche in tutti gli uffici, fabbriche, tribunali e via elencando. Ma siccome non è possibile nel tempo pianificabile, si deve usare quel che c’è. Tutte le scuole italiane sono già oggi connesse in rete. Molte con più di una connessione (perché regalate da comuni e province). Usano la rete per l’amministrazione e non per la didattica. Quindi: partire subito con la scuola digitalizzata. Non solo è possibile, ma avverto i distratti che i gestori telefonici già si fanno pubblicità parlando dei testi scolastici digitali e di chi è bravo andando a scuola con un tablet, mentre chi rimane indietro si carica ancora sulle spalle qualche chilo di libri. Peccato che i secondi non sono fessi alla nascita, sono costretti dalla scuola. E peccato che la legge già prevede, dal 2008, il passaggio ai testi digitali, salvo che i vari governi (destra, tecnici e sinistra) sono stati solo capaci di prorogare l’uso dei cartacei.

E’ vero, si sono commessi molti errori. Fin qui l’informatica scolastica è stata una scusa per scaricare ferraglia su istituti e studenti. Qui avvertimmo per tempo sulla sciocchezza delle Lim (lavagne interattive multimediali), che servirono solo a svuotare i magazzini dei fornitori. Come abbiamo avvertito sulla sterilità dell’uso dei soldi pubblici per fornire tablet senza contenuti e sistemi utilizzabili. Cosa che ancora capita, che ancora quest’anno porterà a buttare soldi e che, paradossalmente, porta le regioni più efficienti nello spendere a essere anche quelle che più fanno danni. Ma per cambiare basta uno schioccar di dita, basta adottare piattaforme intelligenti (e ne abbiamo di italiane, mentre le regioni spendono finanziando quelle estere) e usarle nella didattica. La consultazione da remoto occupa poca banda, sicché anche le adsl esistenti possono bastare. Ripeto: basta volerlo. Quel che va fatto, subito, è usare tutti il digitale, che i ragazzi già usano massicciamente, ma non per studiare. Non serve che diventino tutti programmatori, perché una simile bischerata non è vera neanche in India, principale Paese formatore di tecnici informatici.

Sull’università il governo aveva annunciato la cancellazione dei test d’ingresso, che invece sono ancora lì. Trovo che siano utili, ma ridicoli. E’ stupido farne dei quiz generici, delle parole crociate, e se devi fare l’odontoiatra non si vede cosa rilevi il saper cos’è la “mano morta”. Nei sistemi sanamente aperti alla concorrenza i test di matematica e lingua o le applications per iscriversi all’università hanno valore generale: con questi risultati non puoi entrare nell’università x, ma puoi andare nella y. Poi tocca alle università sfidarsi in qualità dei docenti e livello dei risultati finali, in modo da attrarre soldi da famiglie e sponsor. Da noi ciascuno si gestisce i propri e da quelli non dipendono i finanziamenti, ma con quelli si mungono tasse d’iscrizione a studenti e famiglie. Satanismo fiscale in tocco e toga.

La didattica digitale incorpora la valutazione dei docenti, così come il ponte fra scuola e università, costruito con test a valenza generale, incorpora la competizione. Usando questi strumenti si può, da subito, sapere quali sono le aule migliori, premiando il merito e stimolando la gara. Il che non è un servizio all’amministrazione burocratica pubblica, ma agli studenti e alle famiglie. Per fare queste cose ci vuole meno tempo dei due mesi buttati nella consultazione. Tutto sta a saperlo e volerlo fare.

Pubblicato da Libero

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