Politica

Sembriamo matti

Dice Berlusconi che se aumentano le tasse il governo cade e si va alle elezioni. Dice Bersani che se si lavora all’elasticità del mondo del lavoro (articolo 18) il governo cade e si va alle elezioni. Poi ciascuno commenta le dichiarazioni degli altri e afferma che è da irresponsabili non appoggiare il governo, che è bene resti al suo posto. Il tutto in un Paese che vede costantemente crescere la pressione fiscale e in cui aumenta il numero di lavoratori, specie giovani, privi di garanzie elementari. A sentire quel che diciamo e vedere quel che facciamo, sembriamo matti.

Forse lo siamo, ma lo si deve anche al trionfo di bugie e ipocrisie nelle quali mariniamo la vita pubblica e politica. Se si accetta l’idea che il debito pubblico sia una colpa e il divaricarsi degli spread la giusta pena, se si parte dal principio che il costo del debito crescere per colpe nostre, anziché per (gravissime) colpe europee, qualsiasi governo non farà che aumentare le tasse. Il governo Monti lo ha fatto nel modo più rozzo, dimostrando che da tante cattedre s’insegna senza conoscere la realtà e, quindi, una volta chiamati a prendere in mano il timone altro non si sa fare che quel che si faceva. Ma il guasto sta all’origine, e quando il Presidente della Repubblica torna sull’impresentabilità internazionale del governo precedente non fa che confermare ciò che raccontammo anticipatamente: abbiamo rinunciato alla sovranità e ci siamo messi a pagare gli errori altrui. Non che manchino i nostri, né quelli del governo Berlusconi (imperdonabili), ma ci siamo messi in posizione di sudditanza.

Forse al Colle non lo si capì per tempo, mentre è sicuro che ancora non lo hanno capito quanti festeggiano la riammissione del capo del governo italiano ai pranzi europei. Peccato che fra le pietanze ci sia l’affettato di contribuente nostrano.

Perdenti su questo fronte ci siamo impantanati anche in quello interno. Non avevamo bisogno di più tasse, ma certamente di più libertà e competizione, anche nel mondo del lavoro, mentre i soldi si deve cercarli vendendo (buona l’idea di Edoardo Narduzzi: ricapitalizzare le banche con patrimonio immobiliare pubblico, talché si riaccenda il credito, che rimane spento nonostante i quasi 500 miliardi della Bce). Ma il governo Monti, che doveva essere la soluzione, è divenuto il problema: arretra precipitosamente quando si tratta di liberalizzazioni bonsai e rimane inchiodato dall’imperizia politica quando si tratta di sfidare i pregiudizi ideologici e sindacali. Gli difetta la forza per rinegoziare i rapporti europei e gli difetta il consenso per modificare il patto sociale su cui si fonda l’Italia. Più che la terapia, sembra il riassunto dei nostri mali.

La responsabilità, però, non cade sul governo, ma sulle forze politiche che vengono meno ai loro doveri. Spetta ai grandi partiti modificare il sistema elettorale e portare l’Italia alle urne. Cambiare la legge per evitare che il prossimo sia un Parlamento arlecchinesco e trasformista, coagulo di arretratezze e veti incrociati, e votare per evitare che prenda ulteriormente corpo l’illusione che le gestioni commissariali portino ad altro che al fallimento della politica, della democrazia e del Paese.

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