Politica

Serve politica

In questa fine d’agosto, di un’estate mai veramente iniziata, il succo dello scontro politico si articola attorno a due questioni: a. i contenuti di un decreto legge, ripudiati dagli stessi che l’hanno scritto, ma non ancora sostituiti con misure alternative; e, b. il debutto politico di Luca Cordero di Montezemolo. Singolare coincidenza: anche il presidente della Ferrari ha progressivamente e velocemente aggiornato le sue proposte, quasi a segnalare che nessuno ha idee a lunga gittata e programmi destinati a non aggiornarsi giorno dopo giorno. A dispetto dell’agitarsi collettivo, pertanto, il problema nostro non è quello di troppa, ma di troppo poca politica.

Chi è stato presidente di Confindustria non è certo vergine al dibattito civile, ma per entrare in Parlamento, per andare al governo, serve il consenso popolare. Per chiederlo ci sono due strade: entrare in una delle liste esistenti o fondare un partito. Poi si passa alle urne. La patologia della seconda Repubblica consiste nel proliferare dei partiti, spesso personali, segno che non ne esiste nessuno vero. Ciò non toglie che sia del tutto legittimo crearne uno nuovo.

Io stesso, però, ho scritto che, dopo le convulsioni sulla manovra di riequilibrio dei conti pubblici, il ceto medio, la borghesia, la classe generale s’è trovata senza rappresentanza (dei propri interessi e delle proprie idealità), ma la politica non è solo riempimento dei vuoti elettorali. Così come si usa il vocabolario ideato da Silvio Berlusconi, nel 1994 (discese in campo e ingressi in politica, come se questa fosse una partita o un saloon), così anche la concezione del mercato elettorale. Chi supponga d’essere diverso cerchi di non somigliargli troppo. Tanto più che le imitazioni sono scadenti e l’originale ancora su piazza.

Posto che, dal 1994 ad oggi, chi governa non ha mai vinto le elezioni successive, è significativo che quando è in maggioranza la sinistra sembra che la politica si faccia solo da quella parte, e quando governa la destra idem, ma a ruoli invertiti. In realtà, non fa politica nessuno. Ci si limita ad organizzare le truppe elettorali. Oggi sembra che sfugga a tutti la perversione dialettale del nostro dibattito, non tenendo in minimo conto quel che succede in Europa e, quindi, quali sono le sponde politiche utilizzabili e le famiglie cui ciascuno intende fare riferimento. A forza d’occupare i vuoti si produce il vuoto.

La nostra sinistra sembra non essersi accorta che la sinistra europea è sulla posizione da noi sostenuta, circa la federalizzazione dei debiti sovrani. Lo è la sinistra francese come quella tedesca, opponendosi a governi che, invece, pensano di approfittare della crisi per assicurarsi la primazia di un direttorio. E anche dentro la famiglia dei popolari europei una cosa è la posizione della signora Merkel, altra quella di Kohl (nelle cui parole si trovano molte delle critiche da noi espresse). In Italia se n’è accorto Romano Prodi, ovvero l’unico che è riuscito, per due volte, a far vincere la sinistra e che oggi condivide le idee anticipate, nel dicembre del 2010, da Jean-Claude Juncker e Giulio Tremonti. Difatti non chiede inutili crisi di governo, ma, semmai, che qualcuno governi. In Europa ne parla Jaques Delors.

La questione degli eurobond non è mica risolvibile dal solo governo italiano, ma richiede legami e alleanze europee. Dietro tale questione non c’è solo quel che ciascun Paese deve fare per non offrire il fianco alla speculazione, quindi le diverse politiche di tassazione o privatizzazione e liberalizzazione, di stretta dei conti o di rilancio della produzione, ma l’idea stessa che si ha d’Europa: vera federazione o unione di diversi. Il secondo modello è destinato a sfracellarsi, se irrigidito dalla moneta unica. Non ha alcun senso che da noi ci si scanni per stabilire chi può meglio obbedire agli ordini che la Banca Centrale Europea non ha il diritto di impartire.

Serve politica, quindi, vale a dire un insieme coerente d’idealità, progetti per il futuro e misure immediate che ci aiutino a realizzarli. Servono sia una destra che una sinistra capaci d’intessere relazioni continentali, non di lanciare invettive vernacolari. Dopo di che, ciascuno ha il diritto di candidare e candidarsi, purché il consenso che intende raccogliere sia quello elettorale, non quello amicale.

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