Politica

Sforbiciata e saggezza

La buriana scatenatasi sulle pensioni segnala un errore politico. Grave. Prima di esaminare il merito del provvedimento c’è da chiedersi con quanta lucidità sia stato adottato. Non si può, infatti, sostenere che tutto va bene ed è sotto controllo, che le correzioni di bilancio saranno minime e, poi, prendere provvedimenti che entrano nelle tasche di pensionati a 1400 euro, lordi, al mese. Per fare una cosa simile è necessario usare il crudo linguaggio della realtà e spiegare la drammaticità del momento e l’indifferibilità della stretta. Poi si deve essere capaci di dimostrare che a pagare saranno non solo coloro i quali non possono sfuggire, rientranti tutti in quel ceto medio che è non solo ceto generale, ma anche base elettorale del governo, bensì anche gli altri. A cominciare da sé stessi. Non è un problema di comunicazione, ma di sostanza.

Quando le strade di Francia s’infiammarono per la riforma delle pensioni i nostri governanti ripetevano: siamo stati più bravi, la riforma l’abbiamo fatta senza suscitare alcuna protesta. E’ vero, la riforma è stata fatta, agganciando l’età pensionabile alla sempre più lunga speranza di vita. Solo che s’è spostato in là nel tempo l’effetto d’innalzamento, quindi s’è usato un linguaggio tranquillizzante, nei confronti dei pensionati, che oggi risulta mendace. Ed è questo l’errore: non dire le cose come stanno.

Quando la Corte di giustizia europea ci condannò, giustamente, perché nel settore pubblico si discriminavano gli uomini, consentendo alle donne di andare in pensione cinque anni prima, noi sostenemmo che era una buona occasione per elevare e pareggiare l’età pensionabile di tutti. Ci risposero che non ve n’era alcun bisogno, che si doveva lasciare la libera contrattazione fra le parti. E questo non avveniva un secolo fa, ma l’anno scorso. Quando il governo tedesco ha cominciato a ragionare sul fatto che 65 anni d’anzianità erano troppo pochi, da noi si diceva: noi abbiamo già fatto. E, allora, perché ora si toccano le pensioni? Risposta: perché è una spesa troppo alta, che non ci possiamo permettere, è un sistema che, nel tempo, non regge, perché questo istituto dello stato sociale si basa su una leva demografica che porta al lavoro più persone di quante ne uscivano. Tutto questo appartiene al passato, e non da ieri.

Veniamo al merito di quel che il governo propone. Sopra i 2381 euro di pensioni, sempre lordi, si blocca la rivalutazione dovuta all’inflazione. Fra i 1428 e i 2380 la si limita al 45%. Al netto dell’età in cui buona parte degli italiani sono andati in pensione, ovvero troppo presto e avendo lavorato troppo poco, al netto, quindi, di riforme che non si sono fatte, salvo prelevare quattrini dai versamenti dei lavoratori atipici, ovvero i meno protetti e che non avranno mai una pensione degna di questo nome, la fascia di reddito che si colpisce non è certo quella dei ricchi. Occorre essere fuori dal mondo, per valutare le cose diversamente. 1000-1800 euro netti al mese consentono di non essere in miseria, ma non nell’opulenza. Il blocco, inoltre, si riferisce al biennio 2012-2013, quindi avrà effetti per i pagamenti 2013-2014. Che succede, dopo, si riallinea il tutto? In questo caso avremo un 2015 con una spesa pensionistica maggiore. Finanziata come?

Anche io, qui, ho proposto operazioni fiscali immediate, che valgano quali anticipazioni del gettito di due o tre anni futuri, ma su base volontaria e avendo una convenienza economica in cambio. Qui siamo nel coatto e senza contropartita. Vero è, come mi è stato fatto osservare, che le patrimoniali volontarie necessitano di governi credibili, e classi dirigenti affidabili, ma vero è anche che agendo in questo modo la credibilità precipita sotto la soglia di guardia.

Detesto la demagogia un tanto al chilo. Neanche uso il vocabolo “casta”, che tanto va di moda, perché ha un sapore qualunquistico. Però va condannata anche l’insipienza e l’incoscienza: prima di mettere mano a misure di questo tipo si deve avere la buona creanza di tagliare il grasso che cola dai vitalizi parlamentari. So bene che il valore economico delle due cose non è equipollente, ma il valore morale è largamente prevalente. Se non lo capiscono sono ciechi.

Più che una manovra sembra una retromarcia, ma senza specchietto retrovisore. Ho già scritto che la maggiorazione del bollo per le auto di grossa cilindrata è una patrimoniale, imposta da chi aveva spergiurato che mai e poi mai tasse di quel tipo sarebbero state possibili. La follia non sta nel violare la promessa, ma nel farlo per quasi niente. Se si deve ragionare di patrimoniali lo si faccia seriamente, usando l’arma della verità. Gli italiani sono ragionevoli, ma non stupidi. E’ sciocco, nonché pericoloso, punzecchiarli e sbeffeggiarli.

La stessa cosa vale per i ticket sanitari. Io sono favorevole. Quando furono introdotti, da Francesco De Lorenzo, diminuirono la spesa per i farmaci, che schizzò in alto quando Rosy Bindi li tolse (e il primo sarebbe stato il corrotto dalle case farmaceutiche!?). Però è una provocazione chiedere agli italiani di pagare le medicine nel mentre a carico del sistema sanitario (che da tempo non è più nazionale, ma stupidamente regionale) si mantiene una classe politica di trombati che, nel migliore dei casi, amministra quel che non conosce.

Forse non è chiaro il livello cui si è giunto il disagio sociale, rispetto alla quale fa da ammortizzatore un ceto medio moderato e saggio. Quello che si è andati a insolentire.

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