Politica

Siamo palestinesi

Il prossimo lunedì 15 chi vorrà affermare l’inviolabile diritto all’esistenza ed alla sicurezza dello Stato d’Israele, si troverà a Roma. In una marcia che partirà dal Campidoglio ed arriverà nel ghetto.

Noi ci saremo, come sempre ci siamo trovati al fianco della democrazia israeliana.

Con rabbinica attitudine a spaccare il capello in quattro, si è discusso sulla natura della marcia, domandandosi se essa sarà in appoggio ad Israele od al suo primo ministro, Ariel Sharon. I sostenitori dell’appoggio ad Israele antepongono le ragioni della legittimità e del cuore; i sostenitori di Sharon quelle del crudo realismo politico, anche con un certo fastidio verso il cuore. Lasciamo che il dibattito passi ai cardiologi.

In realtà si devono tenere in conto due cose: a. l’avversario elettorale di Sharon, il laburista Barak, ha recentemente chiarito che se si fosse trovato al posto del vincitore delle elezioni avrebbe fatto esattamente le stesse cose; b. Israele è una democrazia e, quindi, fra le bombe ed il sangue, sotto i colpi del terrorismo palestinese, non tacciono affatto le voci di dissenso, quando non di netta opposizione al governo in carica. Ecco, questa è l’Israele per la quale marciamo, un paese in cui la stragrande maggioranza della popolazione appoggia, allo stesso tempo, sia l’operato del primo ministro che il desiderio di avviare negoziati che fermino la guerra.

In una pozza di integralismi religiosi e di dittature oscurantiste, Israele è una grande democrazia, un grande sogno, un grande debito che tutti gli uomini liberi hanno verso se stessi.

Marciare ha un senso ed è un dovere civile perché il modo in cui sono state presentate le due intifade, l’iconografia del soldato armato ed inviato a fronteggiare il ragazzino a mani nude, il luogo comune della tecnologia militare scatenata contro gli uomini delle fionde, è non solo un vile cumulo di menzogne, ma, anche, il selciato su cui camminano i neanche troppo celati sentimenti antisemiti.

Un uomo della sinistra ha recentemente detto “siamo tutti ebrei”. Con questo volendo significare che l’odierna opposizione ad Israele, l’odierno appoggio alle azioni palestinesi, non possono in nessun caso essere confusi con l’antisemitismo. Sembrerebbe logico, se non fosse che l’obiettivo delle azioni terroristiche, l’obiettivo degli arabi finanziatori, è l’eliminazione d’Israele dalla carta geografica. Io ebreo non sono, pertanto mi ritrovo al fianco d’Israele per scelta politica e morale.

Semmai mi dispiace di non essere palestinese, giacché se lo fossi potrei meglio combattere contro i dirigenti palestinesi che lucrano sul massacro di quel popolo, mantenendolo nell’ignoranza del fanatismo, facendone carne da cannone, umiliando una giusta aspirazione d’identità e d’indipendenza asservendola ad un incubo sanguinario. Si, mi sento palestinese quanto basta per detestare chi specula sul dramma del popolo palestinese.

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