Il decreto anti-terrorismo contiene un pasticcio. Al contrario di quel che hanno detto e scritto in molti, non istituisce affatto una super procura. E questo è un bene. I pericoli di tale idea li descrivemmo quando si cominciò a parlarne. Ma il decreto, purtroppo, non sfugge all’ipocrisia, lasciando indeterminate cose che, domani, saranno dei problemi. Già è capitato che agenti dei nostri servizi segreti siano stati processati per avere fatto il loro mestiere, per giunta in coordinamento con i servizi statunitensi. Guai a non imparare dagli errori che si commettono.
Il pasticcio è questo: non volendo istituire una super procura, di cui non si sente minimamente il bisogno, il decreto attribuisce a quella anti mafia il coordinamento dei procedimenti penali in corso (e, fin qui, ha un qualche senso), come anche delle attività di prevenzione (e qui non ne ha, perché la magistratura non è preposta a prevenire, ma a perseguire e giudicare); al tempo stesso, però, si autorizzano gli agenti dei servizi a interrogare i detenuti, per questioni di terrorismo, traendone informazioni utili alla prevenzione; peccato che il governo decretante è lo stesso che ha tolto ai servizi il potere di interrogare i detenuti per mafia, lasciando la loro azione sotto la sorveglianza di quella stessa procura anti mafia che chiese ed ottenne di non averli fra i piedi. Dunque: non nasce la procura specifica (bene), si autorizzano i servizi a raccogliere informazioni (bene), ma si chiede loro di riferire alla medesima procura che volle far valere una dottrina opposta (male e pasticcio).
A volere stare per forza in equilibrio capita di ritrovarsi nella più equilibrata delle posizioni, ovvero con il sedere a terra. Invece serve scegliere. E la scelta saggia, secondo me, consiste nel rendere libera l’attività d’intelligence e mantenere estranea quella giudiziaria. Anche perché la prima può incorrere in abusi ed è alla seconda che il cittadino si rivolge per essere tutelato. Collegandole e coordinandole si ottengono due risultati nefandi: si neutralizzano gli aspetti positivi e si esaltano quelli negativi, fatti d’invasione della privacy e riduzione delle garanzie individuali.
Fatta questa osservazione, largamente più importante, aggiungo che la lettura del decreto lascia perplessi anche per altri aspetti. C’è bisogno di un decreto legge per stabilire che un certo numero di agenti dell’ordine pubblico saranno assegnati all’Expo? O continueranno a presidiare le strade? Se la risposta è positiva è segno che la politica e la legislazione della sicurezza devono essere riscritte da capo. Se è negativa (come penso e spero) è segno che si tratta delle miliardesime norme propagandistiche.
Inoltre: davvero, in Italia, non era reato addestrarsi al terrorismo e all’uso delle armi, senza potere esibire il regolare permesso? Suvvia, vi prego, ditemi che non è vero. Davvero non si poteva ritirare il passaporto a un presunto terrorista? Cerchiamo di essere seri: lo si ritira a gente indagata per reati che, a confronto, sono quasi da stella al merito della Repubblica. E’ interessante leggere che la pena per chi si arruola nel terrorismo sarà da 3 a 6 anni di galera, ma la scorsa settimana ci era stato detto che per corruzione la pena andrà da 6 a 10, e anche per la semplice induzione da 4 a 10. I corruttori, i corrotti e i tentatori più pericolosi dei terroristi? Secondo me andrebbe riconosciuto loro, quanto meno, il merito di fornire, una volta l’anno, qualche cosa da dire alla Corte dei conti. Che non riduce la corruzione e lo spreco nella spesa pubblica, come sarebbe suo compito, che, anzi, compartecipa ad amministrare, ma, con cadenza annuale, ci ammannisce il lamento di cui qualsiasi italiano è capace da solo: senza telecamere e senza per quello essere pagato.
Mai pensato che siano le pene alte a determinare la diminuzione del crimine (copyright Beccaria, XVIII secolo), piuttosto il funzionamento della giustizia. Ma di quella ci si occuperà con un prossimo decreto, sperando che i redattori abbiano almeno letto gli altri già emanati.
Pubblicato da Libero