Politica

Sindacato morente

Si sentì più la musica dei concertoni che la voce dei sindacati. I lavoratori sono stati più pubblico che protagonisti. Al punto che, il giorno della loro festa, il primo maggio, si sia potuto chiamare l’applauso più in memoria di una ragazza che era ad un concerto per divertirsi, morta assieme a tante altre vittime del fondamentalismo terrorista, o di un giovane ricercatore torturato e massacrato, in circostanze e da soggetti non ancora chiari, che non per quanti sono morti lavorando. Vuoi da noi in Italia, vuoi, per rimanere all’analogia con i due casi citati, assassinati da rapitori fondamentalisti e terroristi. Anzi, proprio la cancellazione degli ultimi due lavoratori così ammazzati, proprio il loro essere scomparsi dalle memorie delle piazze, racconta la realtà di un rito oramai consacrato all’internazionalismo del luogo comune e della banalità spettacolare, dimentico di quel valore e di quell’impegno cui è intitolato: il lavoro.

E c’è un altro aspetto, che va sottolineato: piacesse o meno, per quanto la cosa avesse più fondamento storico che non attualità politica, la festa dei lavoratori era la festa dei sindacati, l’occasione perché quei loro discorsi dessero visibilità alle ragioni del lavoro e dei lavoratori. Oggi i sindacati sono praticamente cancellati. Una ridotta minoranza di lavoratori si sente da quelli rappresentata. Delle cose da loro dette, nel mentre sfilavano, con una liturgia che non sa di vecchio, ma di defunto, non rimane quasi nulla. O nulla. E se è vero che tale sorte se la sono meritata, con le loro colleganze politiche, con il loro essere stati più intermediatori di spesa pubblica che rappresentanti degli interessi di una parte, con il loro avere selezionato vertici intenti a portare a casa per sé benefici e privilegi, pensionistici e non, sconosciuti a chi lavora veramente, se è vero che meritano la cancellazione che ora vediamo, è anche vero che questo non è un bene. In un mercato funzionante tutti i fattori produttivi devono essere rappresentati. La dialettica fra interessi diversi è lo strumento che porta a evoluzioni dei modelli produttivi. Il fatto che il sindacato, almeno nelle sue espressioni nazionali, abbia tradito la propria funzione non significa che fosse negativa la funzione. Sono stati cattivi sindacalisti loro, ma non è un buon motivo per considerare cattivo il sindacato in sé.

I tre sindacati confederali si sono opposti come potevano alla contrattazione aziendale, più legata alla realtà concreta di ogni singola azienda e zona, ma meno (o per nulla) concentrata in poche mani nazionali. Lo hanno fatto per non perdere il loro potere. Ebbene: è perso. Anche perché, non a torto, chi governa non intende continuare la finzione di considerarli rappresentati di quel che non rappresentano: i lavoratori. In queste condizioni la contrattazione aziendale potrebbe essere, per chi voglia fare seriamente il sindacalista, un’occasione. Lo strumento per tornare a rappresentare e difendere interessi reali.

Può darsi che rispondano alla lezione di questo primo maggio cercando di resuscitare il passato, anziché trovarsi un ruolo nel presente. Può darsi che il timore di perdere completamente funzione li spinga a far crescere la conflittualità, innescando scioperi. Il disagio reale, le condizioni di difficoltà in cui versa il nostro sistema produttivo, la stucchevole retorica della ripresa già avvenuta e trionfante, la deprecabile comunicazione che mescola i dati dell’occupazione e della disoccupazione, sperando di fondere nella realtà l’illusione della sua rosea rappresentazione, sono elementi che possono portare fortuna immediata, a una scelta di quel tipo. Ma sarebbe una fortuna incapace di affrontare il problema vero e serio: i lavoratori devono essere rappresentati, i sindacati che oggi se ne arrogano la funzione non sono in grado di svolgerla. Ciò nuoce al mercato, sprecando nella disperata conservazione dell’inconservabile le energie necessarie per portare i produttori a essere vincenti, nella competizione senza confini.

Pubblicato da Libero

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