Politica

Sinistrati

enrico letta(2)

Una sconfitta meritata. I due sconfitti sono Letta e Salvini. Il primo perché isolato, il secondo perché ridimensionato

La vittoria della destra non è solo la sconfitta della sinistra ma il suo vuoto, il suo avere perso tempo a indicare i guasti – passati e presenti – degli avversari, senza buttare sulla bilancia il peso di proposte e idee per il presente e il futuro. Si sono votati alla sconfitta con tale voluttà da avere cominciato a regolare i conti prima ancora del voto. Tutto, pur di non farli con la propria identità. Talché oggi la sinistra è percorsa da istinti sinistri ed è popolata da sinistrati. Siccome la democrazia funziona se sono spendibili e vive sia la maggioranza che l’opposizione, e siccome è nella sconfitta che ci si rimodella, quello di sinistra è un fronte che deve interessare tutti.

I due sconfitti sono Letta e Salvini. Il primo perché isolato, il secondo perché ridimensionato. I due, però, hanno in comune un dato politico rilevante e trascurato, che metto all’origine della rovina: sono stati decisivi per l’approvazione della riforma costituzionale che ha tagliato il numero dei parlamentari. Salvini perché era al governo con i 5 Stelle e consentì la maggioranza. Letta perché fece la stessa cosa, dopo che il Pd aveva votato contro, una volta trovatosi al governo con Conte. Andavano a rimorchio del populismo. Se a sinistra avessero avuto memoria di Pietro Nenni si sarebbero ricordati che «c’è sempre uno più puro che ti epura». In questo caso: c’è sempre uno più demagogo che ti frega. Difatti.

Il Pd provò a coprirsi, ponendo come condizione la riforma del sistema elettorale. Ma, a parte che quel sistema lo ha voluto il Pd, era una condizione posta al vento e nessuno se ne è curato. Se si guardano i risultati del proporzionale ci si accorge che la destra non ha la maggioranza, anche perché non ha aumentato i voti. Stravince, invece, grazie a quella legge elettorale e a quella riforma costituzionale. Il Pd s’è confezionato la sconfitta con le proprie mani.

Ora sembra rintronato. Non si può dire, come pare sia riuscito a fare Letta: il prossimo segretario sia una donna. Credono sul serio sia quello il problema? È la linea politica. Dopo la sconfitta la sinistra può fare all’inglese: si radicalizza, così garantendosi l’entusiasmo degli adepti e la sicurezza di non vincere mai più. Oppure riconosce che non esiste più il mondo in cui si tenevano assieme Giorgio Amendola e Pietro Ingrao (come non esiste più quello che teneva assieme Amintore Fanfani e Giulio Andreotti) e si decide a non avere paura dell’avversario a sinistra, ma dell’inesistenza al centro. Perché anche domenica scorsa ha vinto lo schieramento che aveva un puntello al centro, senza il quale non avrebbe vinto.

Se la sinistra è considerata la casa dei ricchi e dei centri cittadini lussuosi, a parte che la destra ha vinto anche in quelli, non è perché s’è dimostrata riformista e non rivoluzionaria, ma perché appare conservatrice e rispettosa dei privilegi. L’ideologia vuole l’assalto al ricco, il pragmatismo vuole quello all’evasore fiscale. Ricchi immobili accatastati a cavolo compresi. Ma su quello sbracarono, non hanno saputo inchiodare la destra, non sono stati capaci di raccontare quanto nuoce ai meno protetti. Lasciare alla destra il tema della separazione delle carriere, fra procuratori e giudici, è il segno di una frana culturale. E morale.

Non serve inseguire i voti persi nel mondo del lavoro, serve affermare che i salari devono crescere al crescere della produttività, sgravandoli di privilegi regalati ad altri. La difesa corporativa degli insegnanti che non insegnano è conservazione della scuola che non funziona, mentre la meritocrazia è promessa di riscatto per chi parte in svantaggio. Tagliare la spesa corrente improduttiva è promessa di sicurezza per i risparmi, alimentarla con nuove tasse (come follemente proposto) è taglieggiamento.

La sinistra ha perso perché s’è persa, come l’Asino di Buridano, e meritava di perdere. Che non significa che la destra meritasse di vincere, ma se si vuole uscire dalla morta gora occorre meritarsi qualche cosa di meglio. A dritta e a manca.

Davide Giacalone, La Ragione 28 settembre 2022

Condividi questo articolo