Politica

Soldi e umani

Anche in Germania, dopo il Regno Unito, si apprestano a modificare le norme relative al sostegno dei lavoratori disoccupati, in modo da non finanziarne troppi fra i non tedeschi. La cosa colpisce di più perché il loro modello produttivo, da tempi lontani, è basato anche sull’importazione di lavoratori (la stessa apertura ai profughi siriani, fatta malamente, rispondeva a una richiesta degli industriali). E’ un errore, però, leggere questi problemi nella chiave: tedeschi contro gli altri. Non è una questione di egoismo del welfare, o di nazionalismo nell’assistenzialismo. Semmai è uno dei sintomi degli squilibri non governati. Che sperare di mettere sotto controllo occupandosi di un solo fattore produttivo, la forza lavoro, finisce con il rendere ancora più gravi.

La logica di questi provvedimenti non è quella di togliere i sussidi agli “stranieri” (che tali non sono, trattandosi di concittadini europei), ma di evitare che arrivino allo scopo di prendere il sussidio e utilizzare le altre prestazioni offerte dallo Stato, comprese quelle sanitarie. La legittimità deriva dal fatto che si è cittadini non solo in quanto nati in un determinato territorio, ma anche in quanto (in proprio o tramite la propria famiglia) pagatori di tasse. Io pago le tasse in Italia, ma posso ben andare a valorare a Londra o Berlino, in quel momento cominciando a pagare anche colà, ma se mi trovo subito a essere disoccupato e intasco un sussidio inglese o tedesco è evidente che alle casse pubbliche che pagano manca il mio precedente gettito. Una quota frizionale puoi ben gestirla, ma quando il fenomeno si espande devi rimediare.

Fin qui il criterio individuato è temporale: in Uk prendi il sussidio se lavori in quel Paese da almeno 4 anni. In Germania non si sa ancora, essendo la legge in discussione, però immaginano di pagare comunque i sussidi, ma per un solo mese, poi, nel caso, di accollarsi le spese per il rientro a casa. Lo scopo è lo stesso: non importare mantenuti. Vista dalla parte degli altri: non è consentito esportare disoccupati. E’ assennato, ma pone un problema grosso: ancora una volta l’Unione europea sbatte la testa contro sistemi basati esclusivamente in ambito nazionale, ma volendo affermare un diritto sovranazionale. Non funziona. O, meglio, funziona solo se le cose vanno bene. Un po’ come è successo alla moneta unica.

Irrisolto quel problema, inesistenti istituti europei di welfare, lasciato a livello di enunciazione, oltre che di stampa sui passaporti, il principio della comune cittadinanza, si pone un secondo problema: i denari circolano comunque. La diversità dei sistemi fiscali fa sì che sia lecito inseguire la convenienza, aprendo società inglesi o lussemburghesi (il dramma è che non se ne aprono di italiane). La convenienza nell’investimento fa sì che si siano comprati titoli del debito pubblico degli europei che più pagavano in interessi, come i greci, salvo poi invocare l’aiuto pubblico innanzi ai rischi divenuti realtà. La necessità di tenere molta liquidità disponibile e al riparo dai rischi fa sì che si finanzi il debito tedesco, che a sua volta non remunera gli investitori altro che con la sicurezza. E così via. Solo che, appunto, così andando i soldi vivono una cittadinanza europea più piena degli umani. Per forza, si dirà, giacché i soldi contribuiscono alla ricchezza e non chiedono di essere assistiti, mentre le persone possono incorrere in incidenti, malattie e perdite del lavoro. Comprensibile, salvo che il meccanismo che ne deriva fa accapponare la pelle.

Sono favorevole alla concorrenza fiscale e ascolto con un certo fastidio i tanti detrattori dell’Ue, molti dei quali non sono in grado di ragionare su quel che accadeva appena un secolo addietro, e cosa sarebbe avvenuto nei decenni successivi. Ma se non si vuole che siano crescenti i nostalgici dell’irreale, quelli che immaginano un passato inesistente, occorre che i governanti del presente non s’industrino solo a tirar su barriere, ai confini o nel welfare, ma si pongano il problema che un essere umano ha diritto almeno alla considerazione e al rispetto che si porta verso i soldi che ha in tasca. Ovviamente non solo con diritti, ma anche con doveri.

Pubblicato da Libero

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