L’interesse collettivo attorno alla riforma costituzionale è tendenzialmente pari a zero. Non è bello, ma è così. Un po’ ci si perde nei tecnicismi, un po’ (sbagliando e sbadigliando) si suppone che siano “affari loro”, un po’ ci si ferma all’opera dei pupi: da una parte chi osteggia un cambiamento che ha proposto per anni e che, in prima lettura, ha anche votato; dall’altra il piglio smargiasso di chi considera buona una conversazione solo nel caso sia l’unico a parlare. Tanto, alla fine, si mette nel conto che la minoranza del Partito democratico si dimostrerà come i somari fantasiosi a scuola: fluviale in orale e a secco nello scritto. Mentre Forza Italia ha già approvarono quel che ora considera inaccettabile. Buona notte.
Ostica e noiosa, la questione non è però poca cosa. Stiamo parlando della Costituzione, non del regolamento di condominio. Sicché richiamo l’attenzione su due soli punti, sfidando il sopore. Primo: il presidente del Senato è stato ruvidamente sollecitato a non mettere in discussione emendamenti al secondo articolo, perché gli stessi sono già stati considerati inammissibili in commissione. Michele Ainis, sul Corriere della Sera, ha già ricordato che non solo non esiste alcun impedimento a votarli in Aula, ma c’è un precedente: nel 2005 il presidente di allora, Marcello Pera, recuperò e riammise al voto del Senato quel che la commissione affari costituzionali aveva scartato. Dal punto di vista procedurale, quindi, non ci sono ostacoli. Semmai ce ne sarebbero, per il secondo punto, a impedire la discussione e il voto.
Secondo: perché mai il governo s’adonta alla sola ipotesi che si voti quell’articolo? Perché Matteo Renzi vuole impedirlo? Perché teme non ci sia la maggioranza. Comprensibile. Ma, scusate, se la maggioranza non c’è che cavolo di riforma costituzionale si sta varando? Una volta la sinistra sosteneva che “non si cambia la Costituzione a colpi di maggioranza”, opinabile, ma suggestivo, però ora la cambia a colpi di minoranza. L’articolo 138 della Costituzione, che ne regola le modifiche, stabilisce che un medesimo testo deve essere votato due volte, a distanza di almeno tre mesi, da ambo le Camere. Tale previsione non fu una concessione al gioco dell’oca, ma il modo per rendere ponderate le riforme, consentendo di cambiarle anche dopo il primo voto positivo. Se questo procedimento viene taroccato, affermando che si vota due volte, ma si discute e propone solo la prima, la Costituzione viene violata ancor prima d’essere modificata.
Così ci si sbriga? No, così si perde tempo e dignità. Perché, paradossalmente, se la maggioranza manca, ma lo si nasconde impedendo che la cosa si manifesti, si reinnesca il meccanismo di riforma, che per cambiare un elemento rimette tutto in discussione (ed è quel che succede sul titolo quinto, alla faccia di chi va dicendo che da decenni la Costituzione non è riformata). Così il brodo s’allunga. Poco male, pensa il capo del Pd, tanto non vanno da nessuna parte, si vota prima e questi rompiscatole manco tornano in Parlamento. Più che verosimile, ma questo, oltre a dimostrare la pochezza, politica ed elettorale, di chi ha supposto d’essere la sola classe dirigente d’Italia, suggerisce anche che l’egolatria può avere epiloghi che la traslocano dal trastullante all’inquietante.
A questo punto, lo so, dormono anche i lettori più volenterosi. Ma è il sonno del popolo che degenera le democrazie.
Pubblicato da Libero