Politica

Spatuzza e il suo padrino

Non mi hanno colpito le parole di Gaspare Spatuzza, semmai le reazioni politiche e giornalistiche. L’ho ascoltato in diretta, riconoscendo quel che guidava il suo dire. Faccio fatica, invece, a capire chi ne discetta senza cognizione di causa. Ci sono cresciuto, a Palermo, una grande città le cui pietre sanno di avere una storia incancellabile, sentendosi ciascuna pezzo di una trama indistinguibile. Puoi studiarla una vita, la Sicilia, ma se non ne conosci lo sguardo quando ha gli occhi chiusi, se non ne hai respirato l’apnea, non c’è verso di capirne nulla.
I mafiosi sono dei disonorati, degli uomini da niente. A scuola li riconoscevi: somari e cacasotto. I candidati perfetti. Se avevano un problema correvano da “‘u parrinu”, per invocarne la copertura. Mi domandavo, ascoltando quella bestia ben nutrita che deponeva in tribunale, chissà quanti se ne sono accorti, che sta manifestando devozione al suo “parrinu”? Già, il “padrino” di Mario Puzo, poi film di successo, la figura d’origine religiosa, poi incarnazione della subordinazione. Il mafioso è un essere inferiore, fa quello che dice il padrino, che è inferiore pure lui, ma ha fatto carriera. Non c’è motivo, però, di volerli battere in deficienza. Magari credendo a roba come la conversione. Suvvia, quello è un killer in servizio, e sebbene solo chi ha molto peccato, eccetera, c’è un limite antitrust anche in quel settore.
Rispettiamo la nostra, però, d’intelligenza. Quindi, i mafiosi votarono, nel 1986, per quei “crasti” dei socialisti, che, però, non fecero niente in loro favore. Questa demenzialità è ripetuta spesso, ma tale rimane. I socialisti furono quelli, assieme ad Andreotti, che diedero ospitalità ad uno sconfitto Giovanni Falcone, fatto fuori da Luciano Violante e dal corporativismo insabbiatore. Nel mentre a Palermo imperversava Leoluca Orlando Cascio, che attaccava Falcone in nome dell’antimafia, e prendeva i voti nei quartieri mafianti. Quanto si deve essere deficienti per credere che i mafiosi s’aspettassero d’essere aiutati dai socialisti di Milano? Prima di votare per quelli del garofano, votarono per gli andreottiani, sempre in cambio di protezioni. Lucide, queste mezze seghe che mettono la coppola sul niente, visto che fu il governo Andreotti a varare un decreto legge (spudoratamente incostituzionale e liberticida) destinato ad allungare la carcerazione preventiva dei mafiosi che sarebbero stati, di lì a poche ore, scarcerati. Poi, sempre dotati di tanta ficcante intelligenza, fecero l’accordo con Berlusconi, per il tramite di Dell’Utri. Roba grossa! Strategia raffinatissima, tanto che se la dicono al bar, raggianti. Abbiamo l’Italia in mano, proclamava un presunto capo, parlando con un picciotto che aveva all’attivo sette stragi e quaranta omicidi. La persona adatta cui fare confidenze, uno che non sarebbe mai stato arrestato.
Ma che volevano? Cosa avrebbero fatto, se avessero avuto l’Italia in mano? Attenti, perché le due risposte che seguono sono decisive: avrebbero “aggiustato” i processi ed avrebbero utilizzato gli appalti pubblici per arricchirsi e riciclare denaro. Queste sono le cose di cui Spatuzza non parla, che, se ne parlasse, sarebbe un pentito, non un soldato. Per “aggiustare” i processi ci vuole la complicità dei magistrati, non dei governanti. Certo, questi ultimi possono cambiare le leggi, ma sono decenni che lo fanno solo per inseguire l’emergenza e consegnare alla giustizia armi utili a combattere il “fenomeno” della mafia. Ad opporci siamo in pochini, solitamente fraintesi, più spesso ignorati. Per scappare alla carcerazione dura, per continuare a mafiare, e, magari, approfittare di qualche smagliatura giudiziaria, occorre avere sponde efficienti nei palazzi di giustizia. La politica può servire da copertura ed entratura, ma l’eventuale complice veste la toga. Di questo, del resto, cominciò a parlare Angelo Siino, identificato come il ministro dei lavori pubblici di Totò Riina. Diceva la verità? Domanda sciocca, perché questi non sanno dove stia di casa, la verità. Diceva cose che vanno capite.
Poi ci sono gli appalti, e la politica serve a quelli. Un tempo il rapporto era rovesciato: il capo politico si appoggiava alla rete mafiosa, in modo che i lavori arrivassero agli amici, alimentando finanziamenti e clientele, senza che ci fossero mancanze di rispetto o di parola. Per un assegno a vuoto si va in tribunale, e ci si perdono gli anni, per un mancato pagamento a questi sgherri si va al cimitero, sempre che trovino il cadavere. Oggi le cose vanno peggio, perché di soldi ce ne sono tanti, in mano pubblica, e la politica partorisce uomini e partiti di transito. Questo, pertanto, è il settore più inquietante e delicato, perché vivo.
Attenti, però. Quando sento dire che Paolo Borsellino fu ammazzato perché contrario alla trattativa (che non c’era) fra mafia e Stato, penso subito che è in atto un depistaggio. Quando vedo che non si parla dell’inchiesta mafia appalti, sulla quale s’incaponì, convinto di trovarvi la ragione della morte di Falcone, e ci si dimentica come nacque, come progredì e come morì (perché morì, nei palazzi di giustizia), allora penso che il depistaggio ha raggiunto l’obiettivo.
Ecco, Spatuzza è una comparsa, sanguinolenta e coerente, che riscuote il premio della protezione. Assegnato non dalla politica, ma dalla magistratura. Che altro aggiungere? Che in un Paese normale, dopo l’esibizione torinese, ci sarebbero due sole vie: o l’incriminazione del dichiarante per calunnia, oppure quella del capo del governo per mafia. Vedo che tutti i giornali s’affrettano a voler scongiurare la seconda, senza neanche prendere in considerazione la prima. Eccola qui, l’Italia che ignora le regole ed il diritto, quella, appunto, in cui ancora può esistere un’associazione di disonorati e cornuti, la mafia.

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