Politica

Statalismo dilapidatore

Sarà pure una corsa verso la larga banda, ma non è il caso di riarruolare la banda del buco. A qualcuno potrà sembrare una novità, ma solo perché ha la memoria corta: già una volta il governo usò l’Enel per ristatalizzare le telecomunicazioni. E fu una tragedia. Non per tutti, però, perché taluni fecero soldi a palate. Seguono nomi e fatti. Tornatici alla mente quando abbiamo letto (Repubblica) che il governo coltiverebbe questo insano progetto. Subito accompagnatp dall’immancabile tweet di Renzi: “ La BandaUltraLarga è obiettivo strategico. Non tocca a Governo fare piani industriali. Ma porteremo il futuro presto ovunque”. Per aggiornare e allargare la rete di telecomunicazioni il piano industriale ci vuole. Non è compito del governo stenderlo, ma immaginare di farlo fare ad una società controllata dal governo è una scelta politica. Sicché si vuol sapere: è vero o no?

Quella di Telecom Italia fu la peggiore privatizzazione immaginabile e mai realizzata. L’abbiamo dettagliatamente raccontata. Fatto è che, ripetutamente, il governo prova a ficcar le mani dentro quella che è una società privata. Ci provò il governo Prodi, provocando le dimissioni di Marco Tronchetti Provera. Ci hanno provato i governi Letta e Renzi, tentando di vendere a Telecom una società pubblica, Metroweb. Ora ci riproverebbe creando un concorrente diretto, in capo a una società guidata da vertici scelti dalla politica. Il governo, naturalmente, non dovrebbe avere nessun motivo per difendere Telecom, che di guai ne ha tanti, essendo passata dall’essere una seria multinazionale, capace di creare ricchezza, a una società dialettale, oberata dai debiti. Ma il dovere del governo consiste nel creare le condizioni capaci di far vincere il miglior concorrente, non il fare concorrenza. Senza contare che le continue voci, l’avere appreso che da Palazzo Chigi si voleva dismettere la rete in rame, poi far entrare Cassa Depositi e Prestiti fra i soci, poi che questa avrebbe preso Metroweb e così via, sono turbative di mercato. Telecom, si prega di non dimenticarlo, è quotata in Borsa. E anche Enel lo è. Le chiacchiere, quindi, non sono solo tali.

Veniamo alla novità: usare Enel e i suoi cavi elettrici per diffondere la larga banda, in questo modo polverizzando Telecom e i suoi immobili vertici. L’ho già sentita. Anzi: l’abbiamo già vissuta. Fate attenzione alle cifre e alle date: nel 1997 il governo Prodi vende il controllo della Telecom Italia per 11,82 miliardi di euro; subito dopo una società pubblica, che gestisce un monopolio, l’Enel, riporta lo Stato nelle tlc comperando Infostrada, e impegnandosi a spendere, a beneficio degli inglesi di Vodafone, 11 miliardi di euro. Lo Stato aveva ceduto il monopolista alla stessa cifra alla quale chiedeva di acquistare un concorrente.  In realtà, alla fine, fu pagato il 32% in meno, quindi 7,5 miliardi, e sapete perché? Perché l’autorità antitrust aveva chiesto di conoscere tutte le carte di questa compravendita e analoga istruttoria faceva l’antitrust europeo, così si era già perso del tempo, compreso quello necessario per discutere i ricordi al Tar.  Nel mentre questo procedimento andava avanti erano scaduti i termini, fissati al 28 febbraio 2001, previsti dal preliminare di vendita, in quel tempo, oltretutto, i titoli delle società telefoniche erano crollati in tutte le Borse del mondo.  Grazie a questo Enel chiese di rivedere il prezzo ed ottenne uno sconto.

Ma se fosse stato per Enel la mano pubblica avrebbe consegnato agli inglesi i soldi che aveva incassato cedendo il controllo di Telecom Italia.  E ci sono altre due cose, da non dimenticare. La prima: Infostrada teneva nel suo seno la rete telefonica che era appartenuta alle Ferrovie dello Stato.  Quella rete era stata comperata, nel 1997, dalla Olivetti, al prezzo di 700 miliardi di lire, pagabili in quattordici anni, ed era stata rivenduta dalla stessa Olivetti alla Mannesmann, l’anno successivo, per 14 mila miliardi di lire, senza rateizzazione.  Lo Stato ricomperava quella stessa rete che una sua azienda aveva venduto. La seconda cosa da non dimenticare è che la rete Infostrada non venne acquistata dalla Wind, la società telefonica del gruppo Enel, perché allora vi erano ancora i soci francesi di France Télécom, i quali non avevano alcuna intenzione di svenarsi per una simile operazione.  L’acquisto venne fatto da una società di diritto olandese, la Enel Investment Holding Bv.  Una società di Stato che usava strumenti da elusione fiscale. Mica male.

Quando, nel 1998, si tiene la gara per il terzo gestore di telefonia mobile, Telecom Italia fa osservare che si troverebbe come concorrente una società partecipata dallo Stato, retta dai soldi degli italiani che pagano le bollette. Il tutto mentre ancora esisteva (ed esiste) la golden share, che assegna al governo il potere di stabilire chi può essere socio di Telecom. Parlarono al vuoto, tanto che Enel, con Wind, vinse la gara. Ma durò poco, perché nel 2006 vendette tutto a Naguib Sawiris, egiziano (nulla da dire, io, ma chi volle Enel per garantire l’italianità della rete era da ricoverare). Prezzo della vendita: 1 miliardo 962 milioni. La sottrazione, rispetto a quanto è costata questa fugace avventura, fatela voi. Io non ho cuore.

Dunque, per tornare al tweet presidenziale: il piano industriale ci vuole, altrimenti riviviamo lo stesso incubo; non tocca al governo, ma è il potere esecutivo a stabilire se una società controllata dallo Stato rientra in un settore che era statale e fu privatizzato; se è questo che hanno in mente, sappiano che non sono dei rottamatori, ma dei restauratori. Del peggio che ci toccò vedere.

Pubblicato da Libero

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