Dopo i referendum riunire gli stati generali dei laici. Una proposta che viene dai radicali, rilanciata da Daniele Capezzone, ottimamente intervistato da Barbara Alessandrini. Utili? Utili. Necessari? Necessari. Decisivi? Non lo so, dipende. Cerchiamo di capirci. La proposta è valida sia che i referendum si vincano sia che si perdano. Cosa significa vincerli?
Noi laici li vinceremo se ci raggiungerà il quorum, perché è contro il quorum che si muove il ruminante clericale post religioso. E’ questo l’animale che giustifica e richiede la forza di una politica laica.
Si devono abbandonare le antinomie tipo laici-cattolici. Dall’altra parte ci sono sempre meno cattolici e sempre più genti alla ricerca di una fede. Il papato che riempie le piazze e non le chiese, che non riesce ad evitare (qualora lo voglia) che funerali e conclavi si trasformino in eventi mediatici, con tanto di cori e tifoserie, pone problemi diversi da quelli che assediarono l’Italia concordataria e clerico fascista. Il peso politico di questa chiesa è basso, tendente allo zero. Non svolge un ruolo di guida politica per i fedeli, ed è già tanto se non finisce guidata da fedeli che, in realtà, sono folle misticheggianti che, un tempo, avrebbero seriamente rischiato (si fa per dire) la scomunica.
Epperò, questa chiesa senza peso politico nell’elettorato, ha ancora un peso notevole nel chiuso mondo della politica politicante. Da qui discendono le evidenti incongruenze, neanche scientifiche, ma banalmente tecniche, della legge sulla fecondazione assistita, così come i deliri fideistici che vogliono il cristianesimo (in un tutt’uno con il cattolicesimo, il protestantesimo, l’ebraismo ed il monoteismo) a radice dell’Europa, del diritto, della morale e chi più ne ha più ne metta. Questa miscela avvelena le acque di ambo gli schieramenti, e lo dico da persona cresciuta nel massimo rispetto (e magari anche nella conoscenza) delle fedi religiose. Battere questa roba significa superare il quorum, anche se dovessero vincere solo i No.
Convocare gli stati generali dopo i referendum vuol dire, però, farne la sede di una riflessione sul futuro politico di un’area che raccoglieva il consenso di un elettore su quattro, e che, oggi, dovrebbe pesare di più, non di meno. Ecco, anche in questo caso sarà bene giocare a carte scoperte. Con Arturo Diaconale abbiamo provato e riprovato a spargere il seme della ragionevolezza e della convenienza, ma i corvacci dell’egoismo li hanno tutti deglutiti, con vantaggi effimeri anche per se stessi. Sappiamo, quindi, che se qualcuno pensa di inventar manovre al fine di ricomprendere nella propria pancia l’insieme di quell’area, sta perdendo il suo tempo. E sappiamo anche che è tempo perso pensare di far ragionare vertici di partiti oramai divenuti il tabernacolo di se stessi.
Nel nostro mondo esistono idee, convinzioni, tradizioni e passati diversi. Pensare di fonderli è sbagliato, prima che inutile. Si tratta, semmai, di ragionare laicamente, creando il contenitore dove ciascuno non tenti di affermare il proprio piccolo estremismo di bandiera, ma apporti la voglia di contare e di vincere veramente. Allora, fissiamo i temi: politica estera, con il privilegio della libertà e della democrazia, con il rifiuto di un pacifismo variopinto ma inconcludente e pericoloso; politica economica, con le forti regole e garanzie che richiede un mercato aperto alla concorrenza; politica dello Stato, con l’etica della cosa pubblica ed il rispetto delle libertà individuali; politica della giustizia, con la convinzione di dover restaurare, in Italia, il rispetto del diritto e dei diritti, non meno che la certezza ed umanità delle pene. Non è tutto, ma sono i pilastri attorno ai quali si può edificare una grande forza della modernità e della civiltà. Per il resto, ciascuno si tiene le proprie convinzioni, facendo prevalere su tutte quella che l’epoca dei partiti chiesa, quelli dentro i quali si trovava la verità e l’ortodossia, è finita, ed è bene che sia finita.
Corollario: se una simile formazione si trova a vivere nel bipolarismo fin qui realizzatosi, bislacco e multiforme, comunque destinato, da una parte e dall’altra, a non partorire politiche di governo, sarà inevitabile immaginarla fuori dai poli oggi dati; se, invece, si andrà nel senso di un più coerente bipartitismo, rassegnandosi gli uni e gli altri a tagliare le ali, allora potrà porsi il problema di portare la diversità laica dentro il coacervo delle altre diversità. Fuori da questa impostazione, ho l’impressione che ciascuno finirà con il combattere solo per la sopravvivenza. Concetto di per sé poco laico.