Politica

Stato di disfacimento

Non una sola, ma più sentenze penali descrivono e incarnano il disfacimento dello Stato. Il prelievo di Abu Omar, imam presso la moschea milanese e, all’epoca dei fatti, vale a dire il febbraio del 2003, imputato di terrorismo internazionale, non può in nessun caso essere derubricato a questione penale, la cui responsabilità è personale, quindi non può essere archiviato accettando le condanne agli agenti statunitensi della Cia e a quelli italiani del Sismi (Servizio informazioni sicurezza militare). Tre governi, presieduti da Romano Prodi, Silvio Berlusconi e Mario Monti, quindi sinistra, destra e commissario sostenuto da entrambe, hanno apposto il segreto di Stato, con ciò stesso affermando che gli agenti agirono nell’interesse nazionale. Il governo Monti ha fatto di più: dopo che la Corte di cassazione ha deciso di confermare la condanna agli agenti della Cia, ignorando o non considerando le obiezioni governative, ha sollevato un conflitto d’attribuzione presso la Corte costituzionale, in questo modo affermando che i responsabili del governo e della sicurezza nazionali non ritengono che la faccenda possa essere decisa dai tribunali penali. Ma i tribunali stessi non hanno ritenuto neanche di sospendere i procedimenti, in attesa del pronunciamento costituzionale. Quindi è logico affermare che, per il tramite di cittadini italiani e stranieri, i tribunali hanno condannato lo Stato italiano. Salvo il fatto che essendo essi stessi parte dello Stato, ne hanno certificato il disfacimento.

Conosco l’attitudine autodistruttiva e la cultura antistatalista del mio Paese, pertanto considero scontato che l’attenzione si concentrerà più sulle persone che sui fatti. Il direttore del Sismi, nonché odierno condannato, era Nicolò Pollari. Gli agenti italiani coinvolti sono altri quattro (i nomi non servono, e non per omissione, tanto si trovano ovunque, ma per irrilevanza). A loro si aggiungono il capo della Cia in Italia, Jeff Castelli, e i suoi agenti. Su ciascuno di loro ci si può sbizzarrire a scrivere di tutto, falso o vero che sia. Tanto la giustizia ci mette altri dieci anni prima di stabilire se sono stati offesi o meno. Anzi, tagliamo la testa al toro e ammettiamo che a ciascuno di loro si possano mettere in conto malefatte e ladrocinii di vario tipo. Partendo da quelle accuse si mette a tacere chi, come me, intende sostenere che le loro (eventuali) vicende personali sono trascurabili e di nessuna importanza. Qui la questione è una sola: il governo italiano può operare o no per difendere la sicurezza degli italiani? Se può farlo, e se facendolo sbaglia, ne risponde politicamente, essendo del tutto escluso che ne rispondano i suoi servitori. Se il prelievo di Abu Omar fu un errore la colpa è politica, non penale. Va attribuita a quello stesso Stato che oppone il segreto, non a chi operava in suo nome.

Credo che un’operazione condotta in coordinamento fra i servizi di due Paesi alleati, entrambe esposti a una guerra internazionale contro il terrorismo, uno dei quali, gli Usa, aveva appena subito uno sfregio incancellabile, sia valutabile solo politicamente. E la giudico positivamente.

Se, invece, la si trascina nelle aule di giustizia e la si condanna penalmente, allora vuol dire che quel governo non può agire a difesa della sicurezza collettiva. E vuol dire che gli agenti che operano per suo conto restano, a vita, esposti al rischio di pagare personalmente per colpe non personali. Uno Stato che accetta questo è già decomposto. Un governo che lo tollera s’è rassegnato ad avere servizi di sicurezza ai cui vertici ci saranno solo persone inutili, o ladri di mestiere, o martiri potenziali. Non è minimamente accettabile.

Nella valutazione politica ci può anche stare che si riconosca in Abu Omar un bersaglio sbagliato (ne dubito) e che gli si chieda scusa. Ma la valutazione penale, che comporta anche un risarcimento di un milione per lui e 500mila euro per la moglie, salvo i danni civili, valutabili in altra sede, scardina i fondamenti stessi dello Stato.

Per queste ragioni, in piena campagna elettorale, si vorrebbero sentire parole nette da parte di chi si candida a governare il futuro. Il primo che dice: “abbiamo fiducia nella giustizia e attendiamo che faccia il suo corso”, è un vile, o un irresponsabile.

Metto nel conto che sarò accusato di volere mettere la mordacchia ai giudici e di volere coprire le malefatte con il segreto di Stato. Poco me ne cale, perché chi assiste inerte a tale spettacolo indecente non è soggetto i cui giudizi possano in qualche modo rilevare. Qui non si discute della sorte di Pollari, e neanche di quella di Omar. Qui si gioca la sorte dello Stato.

Pubblicato da Libero

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