Politica

Stiliti e crisi di nervi

Da una parte invoca l’autunno caldo, dall’altro il sindacato rischia di trovarsi oltre il bordo di una crisi di nervi. Chi ha perso, o s’appresta a perdere, il posto di lavoro è ragionevole che sia arrabbiato e disposto alla protesta, anche dura. Il compito delle forze politiche e sindacali, che si trovino al governo od all’opposizione, è quello di inquadrare quel disagio nel contesto di una possibile evoluzione collettiva, spiegando come i licenziati riceveranno assistenza e perché chi perde oggi potrà rifarsi domani. Se questa capacità manca, va a finire che sono le burocrazie politiche e sindacali a divenire ostaggio della protesta, ed al decimo caso di gente che sale in alto e si sporge gridando “mi butto”, non resterà altro che buttarsi al loro posto.
Se gli operai di un’azienda in crisi, che si accinge a licenziare per non chiudere, o a licenziare e chiudere, protestano chiedendo di conservare quello specifico posto, altrimenti minacciando di lanciarsi nel vuoto o restare a vivere su una gru, novelli stiliti, somigliano pericolosamente a quelli che salgono su un ponte e proclamano l’intento di precipitare nel fiume se la loro amata non tornerà a considerarli i più forti e fichi del mondo. E’ un comportamento privo di razionalità, che può anche essere coronato da momentaneo successo, ma non per questo diviene ragionevole. Il compito di politica e sindacato è quello, a seconda delle diverse visioni e proposte, di apprestare le difese e/o rendere più facile l’assunzione altrove. Se questo non accade, si arranca con il fiatone, appresso alla protesta. A quel punto i nervi si logorano, la funzione scema e succedono cose singolari.
Nella stessa famiglia dell’opposizione comunista, difatti, in una sola giornata, s’è potuta registrare la proposta di Paolo Ferrero, secondo il quale è bene attrezzarsi per iniziare a sequestrare i manager, come è già successo in Francia, e l’analisi di Fausto Bertinotti, secondo il quale quel tipo di lotta fu possibile solo grazie al fatto che in Francia non c’è l’obbligatorietà dell’azione penale (le vie della sinistra sono infinite, hai visto mai che si convincono d’una cosa giusta?!). Aggiungendo, il nostro elegantone, che gli operai non devono chiedere sussidi ed aiuti allo Stato, ma il diritto di conservare il posto di lavoro, che sembra un rompicapo di mezzo agosto, invece è la coerente riproposizione dell’ideologia incapace di adattarsi alla realtà.
Non so quale sarà il clima autunnale, ma vedo che andiamo incontro ad una stagione nella quale manca la capacità politica di mettere assieme, in un racconto credibile, elementi che saranno vissuti come contraddittori. Da una parte, difatti, ci sono effettivi ed incoraggianti segnali di ripresa, ma si pretenderà di farli valere, nel discorso pubblico, nel mentre la crisi mostrerà la sua coda avvelenata, bruciando altre fabbriche ed altri posti di lavoro. Paradossalmente, quindi, abbiamo cominciato a descrivere la crisi quando in Italia non se ne vedevano gli effetti, ed ora si prende a descrivere la ripresa nel mentre da noi si sentono ancora i morsi della recessione. Senza la capacità politica di mettere al loro posto le tessere del mosaico, può capitare il cortocircuito.
Un programma politico non può consistere nel riproporre il passato, sperando di farlo vivere tale e quale anche nel futuro. A questa follia appartiene l’idea che si debbano conservare quelle specifiche fabbriche, con quegli specifici posti di lavoro. Se l’opposizione non sguscia via da questo equivoco, è ovvio che andrà a rimorchio degli arrampicatori potenzialmente autolesionisti, quando non degli speculatori che li invitano a farsi criminali. E se il governo non sarà capace di mostrare in cosa l’Italia di domani potrà essere migliore di quella di ieri, in cosa i cittadini potranno credere per vivere meglio, è ovvio che la narrazione della ripresa sarà ascoltata come un diversivo rosaceo, che tenta di colorare un orizzonte plumbeo.
In tutto il mondo sviluppato la crisi è stata affrontata, non sempre assennatamente, con maggiore spesa pubblica, che significa anche maggiore presenza dello Stato nel mercato, quindi maggiori dosi di politica. L’ideologia serve a poco ed a niente, se non si è capaci di guardare alla cruda realtà. In Italia la spesa pubblica è stata più che altro potenziale, attestata al finanziamento degli ammortizzatori sociali, a causa di un debito pubblico drammaticamente patologico che, in questo caso, ci ha difeso da degli errori. Ma, nel momento in cui si vede l’uscita dalla galleria, è ancora più urgente e necessario indicare la via da prendere, descrivere il percorso futuro. E questa è la politica, se solo la pianta di considerarsi l’arte esclusiva del prendere voti e tenere in equilibrio coalizioni disomogenee.

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